L’Artista come Generative Designer: Nuovi Modelli di Autorialità Decentralizzata nell’Era dell’Intelligenza Artificiale

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L’Artista come Generative Designer
© Dario Buratti

a cura di Dario Buratti

Con l’avanzare dell’arte contemporanea e l’integrazione di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale (AI) e la realtà estesa (XR), il ruolo dell’artista si trasforma radicalmente. Non è più solo un creatore di opere finite, ma un regista di processi che mettono in dialogo diverse “entità generative”.

Questa prospettiva inaugura una mutazione affascinante nel concetto di autorialità, delineando nuovi orizzonti in cui la creazione si fa atto collettivo. Le dinamiche creative non sono più solitarie, ma emergono da interazioni fluide e multidisciplinari, con un flusso costante tra umani, macchine e ambienti digitali. Tradizionalmente, l’artista viene visto come il genio, colui che genera l’opera d’arte dal nulla, seguendo una visione personale e unica. L’autorialità è sempre stata legata a questa idea di creazione individuale e originale. Tuttavia, nell’era delle tecnologie generative e collaborative, questa concezione appare sempre più limitata.

Il creatore contemporaneo si trova a gestire una rete complessa di elementi: algoritmi, dati, azioni interattive con intelligenze artificiali e ambienti virtuali.

L’Artista come Generative Designer

Roland Barthes, già nel suo celebre saggio La morte dell’autore (1967), anticipava l’idea di una decostruzione dell’autore come figura unica e onnipotente, in favore di un processo di significazione aperto e polifonico, in cui l’autore cede parte del suo controllo all’interpretazione del lettore. Questo pensiero, applicato all’arte digitale e all’AI, prefigura un futuro in cui l’autorialità è effettivamente distribuita e decentralizzata. L’artista non è più semplicemente un creatore, ma un architetto di esperienze. Non un curatore nel senso tradizionale, ma un interprete di una realtà più ampia e partecipativa. È colui che disegna scenari di interazione, flussi di feedback interpretando dialoghi tra molteplici componenti creative. Il suo lavoro non si limita alla produzione di un’opera, ma si espande nella capacità di inventare relazioni dinamiche, dove il processo creativo diventa un terreno fertile di connessioni in costante evoluzione.

Un esempio calzante di questo concetto è il lavoro dell’artista e teorico David Gunkel, che nel suo libro Of Remixology ci invita a ripensare la creatività come un processo collettivo e dinamico. Nell’arte contemporanea, il remix, la collaborazione e la distribuzione dei ruoli tra umano e macchina diventano le forze trainanti della creazione. In questo ecosistema creativo, l’opera non è mai realmente “completa”, ma si trova piuttosto in uno stato di continua trasformazione, aperta a nuovi contributi e interazioni. L’introduzione dell’intelligenza artificiale in ambito creativo ha ulteriormente modificato il ruolo dell’artista. L’AI non è più solo uno strumento, ma un vero e proprio co-autore che partecipa attivamente ai processi creativi.

Gli algoritmi generativi, le reti neurali e i modelli di deep learning sono in grado di elaborare informazioni e prendere decisioni che influenzano il risultato finale dell’opera. L’AI può essere utilizzata per generare pattern visivi, analizzare dati complessi o persino prendere decisioni estetiche basate su input esterni. Questo apre la porta a una forma di co-creazione, dove l’artista guida il processo, lasciando spazio all’imprevedibilità e alla creatività autonoma della macchina. Simon Colton, pioniere nel campo della creatività computazionale, sottolinea come i sistemi di intelligenza artificiale possano sviluppare comportamenti creativi autonomi, contribuendo attivamente all’opera d’arte. L’artista, in questo caso, agisce più come un facilitatore, creando le condizioni per la nascita di un’opera, piuttosto che determinando ogni dettaglio.

Un Nuovo Modello di Autorialità

Questa visione dell’artista come “Generative Designer” richiede un ripensamento radicale del concetto di autorialità. Se l’opera è il risultato di una co-creazione tra umano e AI, chi ne detiene realmente la paternità? David Gunkel propone un modello di autorialità distribuita, in cui il processo creativo non appartiene più a una singola entità, ma a un collettivo di agenti umani e non umani. In questo modello, l’opera d’arte è di fatto una creazione collettiva, frutto dell’interazione continua tra tutti gli attori coinvolti. L’artista, pur rimanendo il fulcro centrale del processo, non è più l’unico responsabile dell’opera finita. Questa concezione sfida i paradigmi tradizionali della proprietà intellettuale e della paternità artistica, aprendo nuove possibilità per l’espressione creativa nell’era digitale.

Claire Bishop, nel suo lavoro su arte partecipativa e collaborativa, esplora ulteriormente questo concetto, sottolineando come nelle pratiche artistiche contemporanee vi sia già da tempo una tendenza verso la decentralizzazione dell’autorialità, attraverso progetti che coinvolgono comunità, tecnologie e ambienti partecipativi. In questo contesto, l’artista funge da “regista” o “curatore” di una moltitudine di contributi, in modo non dissimile da quanto avviene oggi nelle pratiche basate sull’AI. Questo modello di autorialità distribuita solleva, però, anche questioni etiche e legali. Se l’AI può essere considerata co-autore, chi detiene i diritti sull’opera? La giurisprudenza attuale non prevede il riconoscimento dell’AI come soggetto titolare di diritti d’autore. Tuttavia, Emily Laidlaw e altri studiosi di diritto hanno evidenziato che la crescente autonomia delle macchine rende urgente un ripensamento dei modelli di proprietà intellettuale e diritti d’autore nell’arte generativa.

Il nuovo modello di autorialità che emerge dall’incontro tra uomo e AI non deve essere visto come una semplice cessione di controllo, ma piuttosto come la costruzione di un ecosistema creativo in cui umano e macchina si influenzano a vicenda, creando opere d’arte che sono il prodotto di un’intelligenza ibrida. Katherine Hayles, nel suo libro How We Became Posthuman, discute la fusione tra umano e tecnologia, proponendo una visione post-umana della soggettività e della creatività, in cui le frontiere tra umano e macchina diventano sempre più fluide.

L’artista, in questo, non perde il suo ruolo, ma si evolve in una figura in grado di progettare e facilitare interazioni creative tra diversi attori, umani e non. L’opera d’arte, anziché essere una creazione chiusa, si configura come un sistema aperto in continua evoluzione, un processo in cui l’autorialità è una rete complessa e interconnessa, piuttosto che un’entità singola e indivisibile.