Opere d’arte imbrattate: per gli attivisti è “amore per la vita e per l’arte, non vandalismo”
Klimt dopo Vermeer, Van Gogh e Monet. Gli attivisti per l’ambiente hanno colpito ancora, questa volta lanciando della vernice nera contro Morte e vita, esposto al Leopold Museum di Vienna. L’ingresso al museo il 15 novembre era gratuito grazie alla sponsorizzazione della compagnia petrolifera austriaca OMV. Ed è proprio contro questa pratica che gli attivisti di Last generation si sono schierati, affidando a Twitter la rivendicazione del loro gesto: «Chi ancora trivella in cerca di petrolio e gas ha le mani sporche di sangue, e nessuna sponsorizzazione lo laverà mai via. Non può esserci arte pulita se ci sono dei soldi sporchi coinvolti». Ecco spiegato l’uso del liquido nero per imbrattare l’opera di Klimt. In realtà il dipinto era protetto da un vetro, come già successo per I girasoli di Van Gogh, su cui attiviste di Just stop oil avevano versato della zuppa a ottobre. Ed è questo uno dei punti nodali della questione.
L’opinione pubblica inorridisce davanti allo sfregio di opere d’arte d’importanza mondiale, ma sul sito del collettivo Just stop oil è chiaramente spiegato che queste non sono davvero in pericolo perché le azioni sono pianificate su dipinti “adeguatamente protetti”. E ciò è sicuramente vero per le tele. Ma cosa dire delle cornici? A volte hanno esse stesse un alto valore artistico e se quella di Klimt si trovava dietro al vetro protettivo, non si può dire lo stesso per quella di Van Gogh. A luglio, sempre i dimostranti di Just stop oil avevano protestato contro l’inquinamento ambientale incollando sopra a Il carro da fieno di Constable, esposto alla National Gallery, una riproduzione dello stesso soggetto (un idilliaco paesaggio di campagna) rovinato dall’uomo (strade asfaltate, cieli inquinati, alberi morti). In quel caso, la cornice aveva subìto lievi danni. Certo, presto riparati, come riferito dal museo, ma che dimostrano che del tutto al sicuro queste opere d’arte non lo sono.
Esiste poi il rischio emulazione: cosa succederebbe se qualche personaggio poco furbo, affascinato da questi gesti eclatanti ma non in grado di capire la scelta dell’obiettivo, rovinasse per davvero un’opera d’arte non protetta? La domanda è retorica ma la preoccupazione è concreta.
Com’è concreta la preoccupazione per la crisi climatica. Insomma, diciamocelo: il messaggio di questi attivisti è condivisibile. Il pianeta sta male e la causa è l’uomo: inquinamento, sfruttamento non sostenibile delle risorse e surriscaldamento stanno provocando cambiamenti climatici catastrofici. Da decenni gli scienziati lanciano allarmi, mentre i politici promettono soluzioni che restano inapplicate. A pagare ora sono le fasce deboli della popolazione. A pagare in futuro saranno i giovani di oggi. Che allora decidono di entrare in azione, incollandosi alle opere d’arte, sporcandole. «Dobbiamo infrangere le regole», si legge sempre sul sito di Just stop oil, «provocare, scioccare». «L’arte è preziosa» ma «se ti indigni per questo, dov’è la tua indignazione per 33 milioni di persone in Pakistan che perdono i loro mezzi di sussistenza?».
Arte e clima siano uniti, non contrapposti
E qui arriva un altro punto nodale. Perché dare per scontato che chi si indigna per della zuppa su un Van Gogh resti indifferente alla catastrofe climatica in atto? Perché contrapporre due piani che in realtà si intersecano tra loro? Così come sopravvivere ai cambiamenti climatici estremi sta diventando appannaggio di pochi ricchi, allo stesso modo anche l’arte rischia di diventare elitaria. Pensiamo a certi capolavori nascosti in collezioni private o ai musei con tariffe di ingresso proibitive. Il nostro pianeta è un bene comune, così come lo è l’arte. Contrapporli non aiuta né l’uno né l’altra. Il rischio è di dividere un fronte che invece potrebbe essere unito, senza approfondire né le ragioni dell’uno né l’importanza dell’altra.
Una cosa, però, è certa: attaccare l’arte ne conferma il valore. E purtroppo, in questo mondo frenetico, è necessario ribadirlo. A chi pensava che opere di duecento o trecento anni fa non avessero più niente da dirci, o che i musei fossero luoghi noiosi e chiusi in sé stessi, gli attivisti per il clima hanno dimostrato che la società contemporanea è ancora in costante dialogo con l’arte del passato, che nei musei l’attualità entra, vive e si trasforma, che non sono solo luoghi di esposizione ma anche di studio, confronto e azione. E che il nostro patrimonio culturale è da proteggere, come il nostro pianeta. Ma perché farlo così?
Le alternative esistono
Questi atti eclatanti fanno parlare di sé e delle opere d’arte colpite, ma in modo superficiale. Anzi, a volte c’è il sospetto che queste organizzazioni vogliano più far parlare di sé che di altro. Si parla del gesto, non del messaggio. Si parla “del quadro di Klimt imbrattato”, non di Morte e vita, della sua storia, del suo significato. La notizia fa scalpore per un giorno, poi si perde nel flusso costante di informazioni che quotidianamente consumiamo senza avere il tempo di approfondire quasi nulla. E, cosa più importante, esistono altri modi di parlare di emergenza climatica che non strumentalizzano l’arte, non ne fanno un bersaglio, ma anzi ci collaborano e la valorizzano.
Pensiamo a certe installazioni artistiche che hanno fatto comunque parlare di sé, incuriosire e interessare l’opinione pubblica, lanciando un messaggio approfondito ed efficace. Come il Climate Clock. Tv e giornali di tutto il mondo ne parlano e ne hanno parlato, e gli orologi sono stati installati ovunque, da New York a Roma a Seul. Unendo arte, scienza e tecnica, il Climate Clock mostra in tempo reale quanto manca all’aumento di 1,5°C di riscaldamento della Terra rispetto all’epoca preindustriale. Lo scorrere inesorabile e angosciante di minuti e secondi fa davvero sentire tutta l’incombenza del pericolo. Oppure ancora, esistono progetti culturali che puntano i riflettori sulla crisi climatica proponendo allo stesso tempo delle soluzioni, come Gallery Climate Coalition (GCC). Accedendo al sito web, il loro scopo si comprende subito e chiaramente: “GCC è una comunità internazionale di organizzazioni artistiche che lavorano per ridurre l’impatto ambientale del nostro settore”. Inserendo i propri dati, artisti, galleristi e aziende possono calcolare la propria emissione di CO2, scoprendo poi modi concreti per ridurle e potendo contare su una rete di supporto professionale.
Insomma, a conti fatti, è sicuramente bello vedere che la coscienza dei più giovani è sveglia e attiva, e, biasimando questo tipo di contestazioni, alcuni adulti rischiano di guardare il dito mentre i giovani indicano il mondo che va a rotoli. Ma è necessario anche che le loro azioni portino risultati concreti, oltre il clamore momentaneo della provocazione. Per proteggere l’ambiente e risolvere l’emergenza climatica c’è tanto da fare, ma di certo in questa lotta l’arte deve essere un’alleata, non la vittima.