Alla scoperta di giovani artisti Emergenti: l’intervista a Sergio Salomone

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Ritratto in studio, Sergio Salomone

Abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla ReA! Art Fair alla Fabbrica del Vapore di Milano: in questa fiera dal sapore moderno e vibrante, abbiamo incontrato molti giovani artisti e potuto ammirare le loro opere. È stata letteralmente una ventata di novità e passione – per l’Arte, le nuove idee, i progetti creativi e tanto altro.

Grata#7, Sergio Salomone 70x100cm, 2019

Dal digitale alla scultura – i nuovi artisti esplorano e creano: il risultato per lo spettatore è davvero coinvolgente. Abbiamo deciso di intervistare alcuni di questi talentuosi artisti per conoscerli meglio, per avere il loro punto di vista ed essere coinvolti nelle loro storie e percorsi professionali. Oggi vi invitiamo a conoscere Sergio Salomone, che ci accompagna alla scoperta di un’interessante e moderna visione artistica che rielabora e analizza il concetto d’identità – a volte frammentato a volte trasformato da filtri che diventano ornamenti. Per Sergio Salomone Fare arte, “vuol dire aggiungere ricchezza al mondo, svelarlo, moltiplicare e modificare le chiavi di lettura“.

L’Intervista a Sergio Salomone

  • Cosa ti ha spinto ad intraprendere il tuo percorso di artista?

Credo che all’inizio si tratti soprattutto di un’attitudine, faccio quello che faccio per una necessità che non so spiegarmi chiaramente, è qualcosa che riempie la vita e la rende più accettabile, più ricca. 

L’artista ha una posizione privilegiata, lavora su una creazione svincolata dalla funzionalità immediata, consapevole che non è difronte a una libertà assoluta, in quanto i risultati entreranno in relazione con l’esterno e questa relazione apre ad una meno immediata forma di funzionalità, quella di incidere sul presente. Forse questa è la ragione più convincente che fa evolvere una generale attitudine artistica in un tentativo di intraprendere un percorso.

Canone#4, Sergio Salomone 45x66cm,2020
  • Cos’è per te fare Arte oggi?

Nella prima risposta c’è parte di questa seconda, posso ampliarla dicendo che fare arte significa per me proporre e condividere una visione, affrontare gli imbrigliamenti del potere, le domande esistenziali e in generale tutte le prove che affronta la comunità.

Fare arte, in qualsiasi forma e quando ci si riesce, vuol dire aggiungere ricchezza al mondo, svelarlo, moltiplicare e modificare le chiavi di lettura e quindi difenderci dalla banalità. La contemporaneità pone però alcuni problemi che stanno nel nostro tempo come non lo sono mai stati in passato. Nel mio percorso mi preoccupo del fatto che creo visioni in un marasma d’immagini ed esperienze, un inquinamento di dati che m’impone la sfida enorme di come starci dentro, come lavorare su forme che rimangano le più possibili integre, condensate senza dissolversi nella pasta del caos.

Quello cui aspiro è realizzare dei lavori che sappiano svelare il presente, essere in connessione con il contemporaneo, ma al tempo stesso evocativi e trascendenti il tempo stretto del presente.

Grata#8 (particolare) Sergio Salomone 70x100cm, 2019
  • L’arte è ricerca e sperimentazione?

Per me la ricerca è variazione dei canoni, lavoro sul loro sviluppo, esplorazione di un punto di vista che non sia scontato. Una buona pratica artistica dovrebbe essere capace di farsi permeare “il giusto” dal tempo presente, dai cambiamenti in atto, per poter essere fruita, avere senso e influenzarlo.

Ci sono dei fili conduttori che attraversano le epoche, delle domande che ci si ripropongono costantemente e che subiscono deviazioni dettate dai tempi, cambiano modi e sapori ma che profondamente rimangono le stesse. La sperimentazione potrebbe essere considerata come ricerca di interpretare queste variazioni.

É anche vero che a volte l’idea di sperimentare può nascondere delle insidie, ci si può perdere dietro una superficiale ricerca d’innovazione a tutti i costi, un ricorrere all’ultimo ritrovato tecnologico che si traduce in volontà sterile di adesione al proprio tempo, senza trasmissione di un’urgenza. 

  • Quali sono i materiali che utilizzi per creare le tue opere? E quali vorresti sperimentare domani?

Lavoro liberamente, senza farmi troppi problemi di appartenenza o coerenza materica. Utilizzo il materiale più prossimo all’idea, ad oggi fotografie, video, tappezzerie, giochi per bambini, gazzette ufficiali dello stato, paraffina, lame e così via. In passato ho dipinto e se sarà funzionale al prossimo progetto lo rifarò, vorrei non avere limiti.

  • L’Arte è un veicolo di messaggi? C’è un messaggio dietro le tue opere?

Fortunatamente non conosco a fondo quali potenzialità abbia il mio lavoro, cosa può stimolare in chi guarda – come non conosco a fondo il risultato interiore di ogni fruizione. Se c’è, un messaggio non è chiaro e non deve esserlo, quando mi trovo difronte a un lavoro che mi piace ne intuisco la potenza senza poterla esprimere in pieno.

Forse non parlerei proprio di un messaggio, il messaggio è più il fine di altre discipline come la pubblicità, palerei piuttosto di un’attitudine, un modo di stare al mondo, di un’analisi sul presente e sulle domande costanti dell’umanità.

Grata#4, Sergio Salomone 50x70cm, 2019
  • Come hai vissuto il lockdown?

Ho vissuto il lockdown e sto vivendo questo momento riconoscendone razionalmente la gravità, ma non sono riuscito a sentire questa gravità sulla mia pelle e in questo posso dirmi inconsapevole. Non so capire che portata storica ha e ho domande aperte su quali cambiamenti accelererà a lungo termine. L’isolamento forzato, la limitazione di alcune libertà fondamentali, la malattia e la sofferenza mi trovano in una posizione incerta.

  • Quali sono i tuoi progetti futuri?

Non ho dei progetti chiari, è complicato fare previsioni in questo tempo. Continuerò a lavorare soprattutto con le lame, voglio cercare di usarne tutte le potenzialità.

  • Quali sono le tue riflessioni sul mercato dell’arte emergente oggi in Italia?

Non penso di poterne parlare con autorevolezza, detto questo credo che in Italia manchino degli strumenti e delle strutture che sostengano in modo convincente il lavoro di artisti emergenti e che puntino sul riconoscimento delle loro qualità, quei sistemi di promozione che attraverso finanziamenti pubblici o privati sostengano la crescita, le produzioni e l’internazionalizzazione degli artisti.

  • Quanto influisce il digitale nella tua creazione artistica o nella tua comunicazione come Artista?

Un mezzo non è mai neutro, me lo ripeto spesso, la digitalizzazione ha in se alcune sfide da affrontare, come l’aumento e la sovrapproduzione di dati. Guardo al mondo digitale da dentro, facendone parte, cercando di mantenere un atteggiamento critico ma anche aperto su possibilità e scenari che le nuove tecnologie possono offrirci.

Utilizzo i social network, soprattutto Instagram per mostrare i miei lavori, ma non è una cosa che mi viene naturale, è un modo di comunicare che non mi sento aderente e che mi richiede qualche sforzo.

Canone#4-g-45x66cm-Sergio-Salomone
  • Ci racconti un’opera a cui sei particolarmente legato?

Vi parlo dell’ultimo progetto cui mi sto dedicando, “CANONE”, è da tempo che volevo lavorare con le lame, uno strumento tagliente, che trasmette una sensazione immediata di pericolo. Volevo diventassero (attraverso la piegatura) dei disegni e che tagliando potessero crearne dei multipli, copie dalle forme uguali a se stesse, come avviene per la fustellatura.

Ho iniziato tagliando delle stampe fotografiche di ritratti, ricomponendole con degli “errori” creando delle immagini ambigue, incongruenti dal punto di vista anatomico, che potessero suggerire identità frammentarie. Ho lasciato che le lame rimanessero a vista, facessero parte del lavoro finito e che accentuassero la divisione, il taglio, hanno preso le forme di elementi architettonici classici, dei canoni estetici. Lavorando a questo progetto mi sono reso conto che le lame hanno in se una potenza evocatrice, ho iniziato a concepirle da sole, come lavori finiti da esporre accanto ai ritratti.

Grata#8, Sergio Salomone 70x100cm, 2019
  • Ci racconti come sei partito dal concetto di “filtro” per stravolgerlo e trasformarlo in un ornamento nelle tue opere? 

Nel progetto “Grata” ho lavorato sul filtro pensandolo come elemento che si frappone alla traiettoria dello sguardo, tra osservatore e osservato. Potrebbe essere considerato come una metafora di un potere che si cela dietro nuove forme armoniche e rassicuranti, filantropiche e ancora non chiaramente riconoscibili, nei miei ritratti, infatti, il filtro è una decorazione fatta con un gioco per bambini. 

Oppure potrebbe essere interpretato come una nuova censura dell’individuo, pensando ad esempio ai social network, una domanda aperta su cosa possiamo perderci nella iper-esposizione mediatica. Vorrei comunque che rimanga un lavoro aperto a diverse chiavi di lettura.

  • Dalla libertà d’espressione all’identità. Perché in alcuni dei tuoi lavori ci presenti un’identità frammentata? 

Mi colpisce sempre quando guardo, ascolto o leggo una pubblicità, l’assiduità con cui viene trasmesso il messaggio “sii te stesso”, “libera la tua espressività”, ecc. Sembra essere il mantra egoico del nostro tempo.

Allo stesso modo siamo spronati ad esporre e a forzare la nostra immagine e i nostri gusti sui social. Mi chiedo cosa sarà dell’identità dei singoli se le tecniche di targhettizzazione, gli algoritmi sempre più efficaci, saranno in grado di “fornirci il nostro gusto” o influenzarlo drasticamente? Un po’ come pensare a quanto lo slogan “think different” ci abbia reso simili.

Canone#6, Sergio Salomone 32x5x5cm,2020

Biografia

Sergio è nato nel 1983 a Roma dove dopo essersi diplomato al liceo artistico Ripetta nel 2004, ha frequentato il corso di Storia dell’Arte all’Università la Sapienza preferendo affiancare sin dal principio uno studio teorico alla personale ricerca artistica.
Dal 2006 lavora come fotogiornalista, esperienza che matura l’affinità con il mezzo fotografico che tutt’ora copre un ruolo fondamentale nei suoi lavori.

Nel 2011 ad Halle in Germania, frequenta come studente ospite l’accademia di belle arti Burg Giebichenstein Kunsthochschule, dove realizza il primo lavoro della serie STARE successivamente esposto nel 2012 a Roma presso la galleria 22cc, curata da Cecilia Casorati. Si trasferisce a Torino nel 2014, dove dopo tre anni apre MUTA, uno spazio dedicato all’arte visiva e gioiello contemporaneo anche sede del suo studio.

La sua ricerca artistica si articola attraverso l’uso di diversi linguaggi visivi che spaziano dal mezzo fotografico, alla scultura, istallazione e video, volgendo in particolare l’attenzione  alla condizione di stasi e isolamento celata dietro l’apparente libertà di scelta offerta da una cultura capitalista.

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