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Dante Ferretti, vedere il cinema attraverso la pittura

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«Una volta un famoso produttore mi ha paragonato a Michelangelo. La cosa lì per lì mi ha gonfiato d’orgoglio, mi ha dato una botta di autostima, ma ripensandoci bene devo dire che non è vero, non solo perché certi artisti sono incomparabili. Lo scultore scava nel marmo, toglie, leviga, riduce. Io faccio l’esatto contrario: aggiungo, aumento, ingrandisco, ricostruisco. Fosse per me, il mondo lo ricostruirei tutto più grande: adesso che sono invecchiato poi, oltre che rincoglionito, sono diventato ancora più megalomane.»

In queste poche righe c’è quasi tutto Dante Ferretti: cinema, arte, scenografia, autoironia. Dieci volte candidato e tre volte vincitore del premio Oscar (insieme alla moglie Francesca Lo Schiavo per le scenografie di The Aviator, Sweeney Todd e Hugo Cabret) Dante Ferretti si è raccontato (e si è fatto raccontare) in un’autobiografia scritta con David Miliozzi e edita da Jimenez Edizioni: Immaginare prima.

Bozzetto per il cimitero del film “Intervista col vampiro”

Ma partiamo dall’inizio, dalle nascite. No, non è un errore di scrittura: Dante Ferretti è nato due volte. La prima il 26 febbraio del 1943. La seconda il 3 aprile del 1944, quando un bombardamento aereo distrusse Macerata e la casa della famiglia Ferretti, insieme a quelle di altre centinaia di persone. Il piccolo Dante aveva tredici mesi, dormiva nella sua culla. L’edificio gli crollò addosso. All’ospedale portarono solo sua madre e sua sorella, lui non lo cercarono neanche. Lo davano già per morto. E invece la cassettiera che il padre falegname aveva costruito gli era caduta sopra, nel punto giusto per proteggerlo dalle macerie. Lo riportarono alla luce dopo dieci ore.

«Solo molti anni dopo ho cominciato a riflettere sul peso simbolico di quelle macerie. Dopo aver subito la distruzione della casa in cui ero nato, l’annientamento del nostro mondo, sono diventato uno scenografo, un inventore di mondi.»

E se l’infanzia e la vita familiare sono le prime ispirazioni del suo lavoro (che si ritroveranno potenti soprattutto nei film di Fellini), a guidarlo per tutta la carriera è l’arte. Artista era Umberto Peschi, che per primo gli diede un nome con cui definire la propria vocazione: scenografia. Dante andava a trovarlo con gli amici, da ragazzino, nel suo studio a Macerata. Riprodusse anche una sua scultura per Salò o le 120 giornate di Sodoma, di Pier Paolo Pasolini. Proprio il regista di Casarsa, allievo di Roberto Longhi, fu il suo primo grande Maestro.

Pier Paolo Pasolini e Dante Ferretti

«Grazie a lui ho imparato a vedere il cinema attraverso la pittura, grazie a lui ho imparato che le arti figurative sono una fonte di ispirazione fondamentale per chi fa cinema. Pasolini mi ha insegnato che ogni atmosfera può essere evocata da un quadro. “Vatti a studiare la Madonna del Parto e le Storie della Vera Croce” mi disse prima di cominciare le riprese del Vangelo [secondo Matteo, ndr].»

Era il 1964 e un ventunenne Dante Ferretti iniziava la sua collaborazione con Pasolini, interrotta solo dall’omicidio del regista: dodici anni e otto pellicole realizzate insieme. Quell’insegnamento, però, si rivedrà in ogni film di Ferretti. Escher e Piranesi nel labirinto de Il nome della rosa (1986, Jean-Jacques Annaud). Botticelli ne Le avventure del barone di Münchausen (1989, Terry Gilliam). Hopper in Black Dalia (2006, Brian De Palma). Klimt nell’abbraccio di Shutter Island (2010, Martin Scorsese). Fragonard in Cenerentola (2015, Kenneth Branagh). Friedrich in Silence (2016, Martin Scorsese). E tanti altri ancora. Lo stesso Ferretti, che disegna così tanto da essersi dovuto operare alla spalla, e ama l’arte astratta perché infrange i canoni estetici del figurativo, racconta che i suoi bozzetti «nascono sempre dal confronto con la storia dell’arte».

Uma Thurman come Venere di Botticelli in un frame del film “Le avventure del barone di Münchausen”

E infatti leggere Immaginare prima è come compiere un viaggio nella storia dell’arte e del cinema, senza però mai sentirsi schiacciati dalla grandezza di colui che Pasolini definiva «un genio». Pagina dopo pagina si avverte tutta la passione di Ferretti per il proprio lavoro e si ama la semplicità con cui affronta gli eventi più eccezionali e spettacolari della propria esistenza. Ferretti dice di essere megalomane ma il rispetto e l’affetto con cui parla delle sue amicizie dimostrano una sobrietà a cui non siamo più abituati. Soprattutto quando gli amici sono Federico Fellini, Martin Scorsese o Diego Della Valle. Non c’è megalomania nel raccontare l’amore per la moglie Francesca, anzi pudore e tenerezza che ci fanno capire tanto senza mai svelarci nulla di privato. E anche a questo non siamo quasi più abituati.

Ma dietro ai grandi nomi e ai luccichii di Hollywood resta sempre nitido l’attaccamento alle proprie radici, alla famiglia e soprattutto alla mamma Linda, la cui dolcezza si ritrova tutta nella frase forse più commovente dell’intero libro: «Tutta questa bellezza ogni tanto mi manda in confusione. Lo sai cosa faccio quando sono confusa? Alzo gli occhi al cielo e resto a fissarlo per un po’. Mi mette tranquillità».

Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo alla vittoria dell’Oscar per la scenografia di Hugo Cabret

Dante Ferretti, Immaginare prima

Immaginare prima. Le mie due nascite, il cinema, gli oscar è un libro di Dante Ferretti con David Miliozzi, edito da Jimenez Edizioni. In commercio dal novembre 2022. 240 pagine. EAN 9788832036572.

David Miliozzi

Scrittore, sceneggiatore e critico d’arte, ha pubblicato quattro romanzi e diversi racconti in varie antologie. Ideatore e curatore di numerosi progetti editoriali, rassegne culturali e mostre d’arte, David Miliozzi è anche il fondatore del movimento artistico dell’Iperespressionismo.

Copertina di “Immaginare prima”
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