Sin Wai Kin – Dreaming the End
A cura di Alessio Antoniolli
3 maggio – 29 ottobre 2023 Roma, Fondazione Memmo, Via Fontanella Borghese 56/b
Alla Fondazione Memmo, fino a domenica 29 ottobre 2023, sarà possibile visitare la mostra Dreaming the End (Sognando la fine), prima personale in Italia di Sin Wai Kin (Toronto, Canada, 1991). Punto cardine del progetto è la nuova opera video da cui prende nome la mostra, Dreaming the End interamente girata a Roma.
La mostra, a cura di Alessio Antoniolli, costituisce un ulteriore capitolo della ricerca di Sin Wai Kin, che riflette sull’oggettivazione del corpo e la cultura che lo regola attraverso la pratica dello storytelling, ponendo così in discussione i processi normativi che regolano le categorie identitarie e una coscienza del sé fondata sul binarismo. Costantemente in bilico tra realtà e dimensione onirica, la poetica di Sin Wai Kin è il manifesto di una complessità che rifugge categorie e mezzi espressivi: video, performance, installazioni sono i linguaggi utilizzati per dar vita a opere che mescolano riferimenti pop ed esperienze personali, lasciando emergere un sentimento indefinibile, sospeso tra tenerezza e malinconia, ironia e dramma, familiarità e alienazione.
Fulcro dell’esposizione è il video Dreaming the End (2023): una storia che si muove tra il registro narrativo e quello reale, giocando con i tempi, gli spazi, i luoghi e riferimenti, così da rendere tutto allo stesso tempo familiare e sconosciuto. Ossessioni e contraddizioni sono al centro del film, un viaggio a metà tra sogno e visioni opprimenti compiuto da una serie di figure enigmatiche che si incrociano nei diversi scenari immaginati da Sin Wai Kin. L’approccio trasversale di diversi generi cinematografici (thriller, noir, fantasy…), con incursioni nella moda e altri ambiti della cultura popolare, contribuisce al senso di spaesamento di Dreaming the End, che offre allo spettatore un’esperienza in cui i punti diriferimento vengono continuamente messi in discussione e ribaltati. È attraverso questa storia – un pastiche di generi, stili, e coordinate spazio-temporali – che il film pone una domanda: dove finisce l’autenticità e comincia la performance? Chi decide cosa sia fantasia o realtà? Per Sin Wai Kin la possibilità di cambiamento è fondamentale: anche quest’opera è un invito ad adottare una coscienza non-binaria, per sciogliere la rigidità di certi schemi e lasciare che le nostre esperienze ci facciano evolvere.
Caratterizzati da una narrazione fortemente improntata alla fiction, nei progetti artistici di Sin Wai Kin si assiste a uno sdoppiamento, talvolta una vera e propria moltiplicazione dei personaggi in scena, quasi sempre interpretati dall’artista. È il caso di Dreaming the End, produzione inedita interamente concepita in occasione della mostra alla Fondazione Memmo, dove i personaggi si incontrano e si muovono attraverso lo spazio narrativo, scambiandosi e alternandosi l’uno con l’altro. Questo processo ciclico fa sì che queste figure debbano continuamente riscoprirsi, prendere coscienza di sé in ambienti ed esperienze che li vedono coinvolti in un perpetuo flusso: “I am perceiving myself shaping the words, but I am also perceiving the words shaping me as I speak them” (estratto dal testo del film).
La fluidità dei corpi e delle prospettive è evidenziata dalla scelta di mostrare il video in loop, così da creare una storia che si racconta e si rinnova attraverso la ripetizione, evolvendosi e cambiando a seconda di chi la narra e chi l’ascolta: “Everytime I hear the story it changes a little. Everytime the story is embodied it changes a little…” (estratto dal testo del film).
La forte connotazione psicologica dei personaggi è alimentata dai luoghi che fanno da sfondo a Dreaming the End. Interamente girato a Roma, il film può contare su ambientazioni di grande fascino, tra gli interni di Palazzo Ruspoli, i giardini di Villa Medici e gli spazi del Palazzo della Civiltà Italiana: contesti iconici che amplificano il senso di meraviglia dell’opera di Sin Wai Kin, creando un inedito ponte tra la storia millenaria di Roma e l’enfasi dell’artista sul potere della narrazione. Il corpo di Sin Wai Kin, così come quello della città, sono in continua evoluzione, capaci di unire storie passate e potenziali futuri, attraversando stati e fasi differenti.
Oltre al film, gli spazi della Fondazione Memmo saranno popolati dai personaggi di Dreaming the End e dai loro stadi di trasformazione. Busti e parrucche saranno collocati in spazi diversi, ma in dialogo l’uno con l’altro, così da creare un continuo scambio; questi elementi saranno accompagnati da una serie di salviette struccanti con le tracce del make- up dei diversi personaggi interpretati da Sin Wai Kin: si tratta a tutti gli effetti di “sindoni” che diventano dipinti contenenti paesaggi e cosmologie di un’identità che cambia e che lascia segni di un processo senza fine.
Dreaming the End non è soltanto la prima esperienza espositiva di Sin Wai Kin in Italia, ma anche il debutto italiano del curatore Alessio Antoniolli che con questa mostra inaugura un nuovo corso per la Fondazione.
Il progetto di Sin Wai Kin vedrà anche la realizzazione di una pubblicazione sotto forma di fotoromanzo – seguendo un’estetica particolarmente vicina alla sensibilità di Sin Wai Kin – e di una serie di attività di approfondimento come incontri e laboratori didattici rivolti ai bambini: il primo appuntamento in programma è domenica 14 maggio, con un workshop creativo dedicato alla fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni.
BIOGRAFIA SIN WAI KIN
Sin Wai Kin (nati nel 1991 a Toronto, CA) dà vita alla fantasia attraverso la narrazione di performance, immagini in movimento, scrittura e stampa. Attingendo all’esperienza di esistere tra categorie binarie, il loro lavoro realizza nuovi mondi per descrivere esperienze vissute di desiderio, identificazione e coscienza.
Il film più recente dell’artista, A Dream of Wholeness in Parts (2021), è stato candidato al Turner Prize 2022 e incluso nella mostra itinerante British Art Show 9, oltre a essere proiettato al 65° London Film Festival del British Film Institute. Tra le mostre personali più recenti figurano A Dream of Wholeness in Parts al Soft Opening di Londra (2022); It’s Always You alla Blindspot Gallery di Hong Kong (2021); She’s Hopeful (2018) al Soft Opening di Londra (2020); Narrative Reflections on Looking al Museum of Contemporary Art di Zagabria (2020); Indifferent Idols al Taipei Contemporary Art Centre di Taipei (2018). Tra le mostre collettive più recenti figurano MYTH MAKERS – SPECTROSYNTHESIS III, Taikwun, Hong Kong (2022); Drawing Attention al British Museum di Londra (2022); Interior Infinite alla Polygon Gallery di Vancouver (2021); Protozone alla Shedhalle di Zurigo (2021); B3 Biennial of Moving Image di Francoforte (2021); Born in Flames: Feminist Futures al Bronx Museum di New York (2021); MORE, MORE, MORE al Tank Museum di Shanghai (2020); Age of You, a cura di Shumon Basar, Douglas Copeland e Hans Ulrich Obrist al Jameel Arts Centre di Dubai e al MOCA di Toronto (2020 e 2019); Momenta Biennale de l’Image di Montreal (2019);Transformer: A Rebirth of Wonder, a cura di Jefferson Hack al 180 The Strand, Londra (2019); Kiss My Genders alla Hayward Gallery, Londra (2019); BCE alla Whitechapel Gallery, Londra (2019). Le loro opere sono presenti nelle collezioni del British Museum Prints & Drawings, della White Rabbit Gallery di Sydney, della Ferens Art Gallery di Hull, della Ingram Collection of Modern British Art, della Sunpride Foundation di Hong Kong e del M+ Museum di Hong Kong.
BIOGRAFIA ALESSIO ANTONIOLLI
Alessio Antoniolli è direttore di Gasworks, Londra, dove dirige un programma di mostre, residenze per artisti e progetti partecipativi. È anche direttore di Triangle Network, una rete mondiale di organizzazioni di arte visiva che collaborano per creare scambi tra artisti e condividere le reciproche conoscenze. Ha tenuto numerose conferenze e ha fatto parte di molte giurie, tra cui quella del Turner Prize del Regno Unito nel 2019. Nel 2022 è stato nominato curatore della Fondazione Memmo, dove curerà il programma annuale di mostre personali. Questa è la prima mostra che Antoniolli cura in Italia.
FONDAZIONE MEMMO
La Fondazione Memmo nasce nel 1990 dal desiderio di Roberto Memmo di dar vita a un’attività culturale mirata ad avvicinare il mondo dell’arte a un vasto pubblico attraverso la diretta conoscenza di capolavori di tutti i tempi e delle più varie civiltà.
A partire dal 2012, grazie all’iniziativa di Fabiana Marenghi Vaselli Bond e Anna d’Amelio Carbone è attivo un nuovo programma espositivo interamente dedicato al panorama artistico contemporaneo. Contribuire allo sviluppo del tessuto culturale nel territorio, connettersi a realtà internazionali, aprendo un dialogo con le altre istituzioni e promuovere l’interazione fra gli artisti e la città di Roma sono tra gli obiettivi della Fondazione Memmo. Il nuovo corso è stato avviato con la mostra personale di Sara VanDerBeek (2012), seguita da Sterling Ruby (2013), Shannon Ebner (2014) e Camille Henrot (2016), tutte a cura di Cloè Perrone; nel 2017 si è tenuta la personale di Giuseppe Gabellone, a cura di Francesco
Stocchi, il quale ha successivamente curato anche le mostre dell’artista tedesca Kerstin Brätsch e del duo KAYA, di Latifa Echakhch (2019), Oscar Murillo (2021) e Amalia Pica (2022).
Nel 2015 è stata presentata la mostra collettiva Conversation Piece, a cura di Marcello Smarrelli, cui sono seguite altre sette edizioni organizzate a cadenza annuale, con l’intento di fare il punto della situazione sulle presenze artistiche a Roma (in particolare coinvolgendo gli artisti ospiti presso le accademie e gli istituti di cultura straniera attivi nella Capitale).
Nel 2019 la Fondazione Memmo avvia un programma di residenze a Londra, in collaborazione con Gasworks, dedicato agli artisti italiani, proseguendo in questo modo l’attività di confronto, scambio e connessione tra artisti e istituzioni di contesti diversi. Gli artisti finora coinvolti sono Diego Marcon (2020), Adelaide Cioni (2022) e Francis Offman (2023).