Metaverso: sempre più spesso ne sentiamo parlare, e stiamo tutti aspettando di vedere cosa succederà con Meta. Mark Zuckerberg ha affermato che è possibile pensare al Metaverso come alla «Rete all’interno della quale puoi entrare anziché limitarti a guardarla […]. Anziché vedere i contenuti, potrai essere al suo interno». Ma non c’è solo META. I nuovi metaversi stanno esplorando nuove frontiere. Second Life, il papà dei Metaversi, da quel lontano 23 giugno 2003 che ha visto la sua nascita (e che aveva inoltre avviato molte attività educative in tempi non sospetti con prestigiose università internazionali) ha fatto delle evoluzioni straordinarie. I metaversi come Decentraland, Sandbox o VRChat si muovono esplorando le potenzialità della blockchain – tra fashion e arte – con progetti e mostre innovative.
Aspettando di vedere le nuove evoluzioni di questa fase pionieristica ma sicuramente interessante, dati alla mano consideriamo che secondo Report Linker il giro d’affari del Metaverso potrebbe valere 758,6 miliardi di dollari nel 2026. Per approfondire stato dell’arte, opportunità e criticità del Metaverso mi sono rivolta al MEET Digital Culture Center di Milano dove ho incontrato Stefano Lazzari, Media Content Manager e fondatore di Digitalguys.it, network di professionisti della digital transformation. Stefano Lazzari e un Innovation evangelist e ha implementato numerose associazioni e progetti sull’innovazione (2lifecast Social Provider, Tinker’n Go, Social Selling ecommerce e More Than Zero, tra le altre) e ha collaborato con Meet the Media Guru nel momento della sua costituzione. Ora è Social Media Strategist per l’agenzia Time To Net ed è parte del board del Grand Design Etico Award. Da questo incontro è nata un’intervista realmente interessante che vi invito a leggere. Buona lettura.
INTERVISTA A STEFANO LAZZARI
RP: Un esploratore di mondi virtuali e XR (Extended reality ndr) in tempi non sospetti. Un pioniere quando si parla di digitale. In due parole: un Innovation Evangelist. Ci racconti quali sono le competenze e cosa fa un Innovation Evangelist?
SL: Prima di tutto io mi considero un colletto blu, un digital worker. I byte sono il mio ferro, il software la mia fresa. Solo l’intimità con il lavoro materiale del digitale (sembra un ossimoro, ma credimi, non lo è) permette di dare un senso compiuto a parole come Metaverso, immersività, disintermediazione, solo sporcandosi di bit rugginosi si conosce la meccanica che sottostanno alle tecnologie. Credo che oggi solo chi entra nelle cose, chi riesce a camminare sul crinale fra la cultura e l tecnologia digitale, che sa riflettere la cultura nella tecnologia e non viceversa com’ è stato nel decennio passato, possa essere oggi chiamato un vero innovation evangelist. Per quanto è nelle mie possibilità, mi sforzo di servire il lato chiaro della forza, questo lo posso dire con certezza.
RP: Ci puoi raccontare la tua esperienza lavorativa e il tuo ruolo al MEET, Digital Culture Center?
SL: Il Meet è un centro di cultura digitale. Ha una storia ben più lunga della sua fondazione che risale al 26 febbraio del 2018, quando venne presentato al Piccolo Teatro a Milano. la sua storia riprende il percorso di Meet The Media Guru, un evento che a Milano ha percorso un lungo cammino (dal 2007 o giù di lì) fatto di appuntamenti con grandi personalità dell’innovazione che sono stati anche, collante e propulsore di una intera generazione di professionisti del digitale nell’alba del nascente world wide web.
Meet the media Guru non è stato solo un evento, è stato un luogo, una comunità alla quale ho partecipato sin dal suo esordio, e con assenze più o meno prolungate, seguo anche oggi. Posso dire che è un posto in cui mi sento di casa, una casa di frontiera dove incrociare tante piste che vanno nell’innovazione tecnologica e nella cultura.
RP: Quanti mondi hai visitato con Stex Auer, il tuo avatar o meglio il tuo gemello digitale? C’è stata una dimensione digitale o un Metaverso che ti ha particolarmente colpito in senso positivo in questi ultimi anni?
SL: Non c’è dubbio che Second Life sia la mia Avaterra, la patria digitale, la terra degli Avatar nella quale tutto è iniziato. E prosegue. Non so se sarà il futuro, ho le mie convinzioni, ma certo che è stata la radice del nuovo, conoscerla a mio parere è imprescindibile, come il Gran Tour per un pittore classico. È la Roma imperiale, è la Grecia ellenistica. poi la si può lasciare per viaggiare lontano. Come ho fatto.
Prima della partenza passò molto tempo. Non per altro, ma non c’era posto dove andare. La pressoché totalità dei mondi virtuali sociali (che di questi parlo) sono arrivati a formarsi negli ultimi cinque anni poco più, poco meno. Ad oggi ho viaggiato in una decina circa, alcuni poco più che WhatsApp tridimensionali, altri molto promettenti. Ti anticipo che si, ho visitato diversi mondi basati su blockchain. E no, non sono stato folgorato sulla via di Damasco. Ovviamente non si può che concordare sulla straordinaria novità che porta la blockchain nella certificazione degli asset digitali. Gli smart contract sono una vera rivoluzione. Quello che trovo insopportabile sono tutti i giochetti di finanziarizzazione spicciola, la falsa credenza di una disintermediazione dai poteri che è poi di fatto parrebbe solo un cambio di mani. Ma nonostante tutto ci vedo un gran futuro.
RP: Ci sono delle letture, film, personaggi famosi che hanno “ispirato” il tuo percorso professionale?
SL: Tanti. O molto pochi, dipende dall”ispirazione che portano con sé. Per alcuni libri ci sono due o tre frasi che aprono finestre su universi e per il resto cose che si sapeva già. Per altri, è il contrario. Ti darei qualche consiglio di lettura. “La Stanza Mnemonica” di Alberto Marchisio. Edizioni Synergon 1995. È un libro perduto. Del più puro cyberpunk italiano. chi ce l’ha, lo conserva per i posteri. “Ghost in the Shell” di Musamune Shirow. Nella edizione italiana di Star Comics, 1991. Un manga media franchise che segna un prima e un dopo. “Until the End of the World”, 1991 di Wim Venders. Ascolta la colonna sonora e poi mi dirai. Potrei andare avanti a lungo, mi fermo giusto su un libro che sto leggendo ora. “Universi” di Stanislaw Lem, Mondadori 2021. È l’autore di Solaris, da cui Andrej Tarkowskij ha tratto l’omonimo film. FANTASCIENZA tutto in maiuscolo. Divertentissimo. Profondissimo. Finiti i superlativi.
RP: Parlando di Metaverso, chi come te ha esplorato i primi pionieristici mondi virtuali già quasi 20 anni fa, ha un’idea ben chiara di quello che potenzialmente potrà essere il Metaverso. Ci puoi raccontare la tua visione?
SL: Cosa accadrà, ci vuole la sfera di Cristallo per saperlo! Siamo nel pieno della schiuma quantica dell’hype tecnologico, non si è ancora spento l’eco dell’annuncio di Meta da parte di Zukemberg che già si è alzato uno tsunami di visioni e previsioni su cosa è, e come sarà il Metaverso. Ma siamo molto lontani dalla creazione di un Metaverso compiuto in grado di ampliare o sostituire il paradigma del web. Ed ora questo appare chiaro a tutti.
Siamo molto lontani da una unità di identità, proprietà, ricercabilità e accessibilità, cosa che ha fatto grande il web. Siamo molto distanti dal superamento dell’interfaccia a finestre, del documento, del testo come modello di trasmissione delle conoscenze per gettarci mani e piedi legati nella iconicità totalizzante della virtualità. Siamo molto distanti dalla mediatizzazione totale degli individui, riconcorsi negli avatar, raggiungere una “avakindness” piena. Non è come dirlo.
Ma ci siamo. Ci stiamo preparando ad un cambio forte, siamo entrati nella stessa terra incognita che si apriva davanti a noi quando il web prometteva cose che nessuno sapeva esattamente cosa fossero, né tantomeno padroneggiarle. Il nostro vantaggio, rispetto ad allora, è che le tecnologie, non tutte, ma queste si, viaggiano a velocità esponenziali, e ogni anno che passa si genera più informazione e sapere di tutti gli anni passati. Credo che l’adozione del Metaverso non sia al di là dell’orizzonte, solo che c’è molta strada da compiere, perché comunque la distanza da colmare è tanta.
RP: Oggi nell’era dei Big Data e della digitalizzazione, i musei e gli archivi guardano al futuro vedendo nel Metaverso la possibilità di creare una realtà alternativa online ma verso percorsi di fruizione innovativi e coinvolgenti. In questo senso come si sta muovendo il MEET? State lavorando alla creazione della versione on META del MEET?
SL: Più di uno! Da sperimentatori approcciamo i mondi virtuali da più direzioni, migrando in diversi universi digitali (a proposito una illuminazione: si dovrebbe parlare di Multiverso e non di Metaverso, che di mondi virtuali ne sorgono a decine ogni notte, come i funghi) dove creiamo le nostre residenze temporanee in cui ci presentiamo e realizziamo degli eventi. Al momento sono due le sedi che abbiamo stabilmente: una in Mozilla Hub e una in VRchat.
RP: Quali sono le grandi sfide che i musei e gli archivi stanno affrontando nella realizzazione di una versione online nel Metaverso ? Quali le criticità?
SL: Ne vedo almeno tre.
La prima riguarda la memoria. Come si rappresenta? qual’è la forma della memoria? come si rappresenta in una forma utile nel Metaverso un archivio? Schedari? scatoloni? Cosa facciamo, si fanno copie “anastatiche” tridimensionali di incunaboli, quartine, stampe, quadri, oggetti, documenti, in-folio, e via così? e come si ricercano? e come si catalogano, e come le consultiamo? Lo spazio e gli oggetti del Metaverso non sono le copie della realtà. il “gemello digitale” non è da prendere alla lettera, in realtà dobbiamo pensarlo come uno scheumorfismo, parte metafora e parte icona. Un grande lavoro sia per i designer che per i curatori. E non entro nel merito dell’enorme problema di come si rappresenta un testo o ancora di più di come si scrive. Hai mai provato una tastiera virtuale da dentro un visore? Ecco, provaci e poi mi dici!
La seconda è la sua vivibilità e l’esperienza che ne consegue. Come sia fatta una biblioteca, un museo un archivio lo sappiamo e lo identifichiamo immediatamente. La loro affordance è chiara, ci sono degli standard di abitabilità e funzionalità come per le chiese, le scuole, gli ospedali, gli stadi, le piscine e tutti gli ambienti sociali. Ma qui? Lo spazio della consultazione, quello dell’accoglienza, quella della ricerca come sono? che percorsi si attuano al loro interno? Insomma, creare un ambiente pubblico che sappia ad esempio rendere un “family feeling” con la realtà e contemporaneamente ridisegnare l’esperienza dei suoi visitatori non è come dirlo.
La terza riguarda la proprietà intellettuale. Posso solo immaginare che mal di testa possa essere il prestito interbibliotecario virtuale! É vero che con un teleport vado dove voglio con la velocità dei byte, ma come gestiremo le forme delle informazioni dal punto di vista della proprietà? è vero che la blockchain sembra sia una risposta efficace (non so ancora quanto efficiente) alla questione del valore di un asset digitale, dunque della sua unicità e dunque del suo valore. Già che ne facciamo del valore? Vuol dire che i fondi di archivi e biblioteche, pinacoteche, emeroteche e via così si depaupereranno dei loro valori in una colossale opera di liberalizzazione dei contenuti? e che ne penseranno gli autori? o viceversa procederemo con la stessa logica della proprietà in uso della SIAE “NFTzzata”?
Di tutto questo si troverà soluzione, ma ci vorrà del tempo, il tempo non del digitale, ma dell’archivista, del designer, dell’architetto, del legislatore.
RP: Andare sul metaverso è anche costoso se si scelgono alcune piattaforme famose. Bisogna comprare i terreni e costruire. Tra i rischi per le realtà museali oggi che si muovono nel Metaverso: c’è la possibilità che tra qualche anno – quando le vere frontiere del Metaverso saranno più definite, si dovrà in un certo senso ripartire con nuove strategie (e nuovi investimenti)?
SL: Negli ultimi 500 anni, la forma del libro derivata dalla tecnologia della stampa a caratteri mobili ha avuto una serie di migliorie, ma tutto sommato ha mantenuto, come piattaforma, una certa stabilità. E se c’è una cosa che ha bisogno di un archivio o di una biblioteca o di un museo è la stabilità delle tecnologie. Il digitale, sancendo di fatto il divorzio fra contenuto e supporto, sembrerebbe una buona soluzione. Ma sappiamo che così non è, basta pensare che la Legge di Moore pare stia per andare in pensione, non oso immaginare quale fattore esponenziale di sviluppo e potenza possa raggiungere in breve il digitale. Dunque posso dire senza ombra di essere smentito, che gli investimenti che hai fatto oggi, quando le frontiere del Metaverso saranno più definite, saranno pallidi ricordi del passato.
RP: Come immagini il Metaverso – o meglio come vorresti che fosse tra 10 anni?
SL: Fra dieci anni avrò settantadue due anni. Mi auguro che l’ingegneria biomedica permetta l’inserimento di un chip neurale direttamente nell’ipotalamo e si possa avere una porta i/o alla nuca. Potrei così trasferirmi in quello che sarà il Metaverso compiuto per lasciare al mio corpo la questione dell’obsolescenza programmata dalla natura. Diamo fiducia a Elon Musk e alla sua Neuralink!
RP: Credi che nel Metaverso ci sarà spazio per l’edutainment?
SL: Uno spazio sempre più importante. Lo è già ora. Non solo la simulazione è uno degli aspetti più interessanti, sia a livello delle simulazioni emozionali che sinestetiche, ma è indubbio che tutto il Metaverso sia un colossale laboratorio esperienziale. Solo questo tema avrebbe bisogno di un volume per essere esplorato.
RP: E con l’ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?
SL: Il Summer Sailstice è la festa del solstizio dei velisti. Da alcuni anni nell’oceano digitale di Second Life, decine di velisti virtuali si riuniscono per festeggiarlo. Io abito in un piccolo isolotto dell’arcipelago di Second Norway, all’estremo ovest del mare di Blake. Vicino a me c’è il villaggio portuale di Havna Bay dove farò una mostra d’arte dedicata alle forme che disegna l’acqua. esporranno quattordici artisti, in una esposizione diffusa su tutta l’area del porto. Ho organizzato anche un concerto, e penso ci divertiremo. Se volete passare, è il 18 giugno. Non manca molto.