Introduzione all’intervista: verso una nuova museologia
Uno dei libri più interessanti che abbiamo letto nel 2021 è “La nuova museologia, le opportunità nell’incertezza. Verso uno sviluppo sostenibile” scritto dal museologo internazionale Maurizio Vanni, già docente in più di 40 università del mondo, e Domenico Piraina, direttore di Palazzo Reale a Milano e curatore di oltre 1000 eventi in Italia e all’estero. Un libro – o meglio un manuale – che con un approccio interdisciplinare affronta, capitolo dopo capitolo, le tematiche più importanti, tra criticità e opportunità – che riguardano i musei di oggi: realtà culturali e istituzionali fondamentali per la nostra umanità che oggi si trovano davanti alle tante sfide imposte dalla società, dalla crisi pandemica e da un rivoluzione tecnologica in divenire.
La museologia – con le sue criticità e le nuove opportunità che si delineano in questo millennio – è un tema attualissimo di carattere internazionale che interessa tutti noi – non solo in qualità di fruitori di luoghi d’arte. Il museo custodisce il passato, racconta il presente e ci permette di intravedere il futuro prossimo. Fronte all’interesse al tema e ai tanti approfondimenti offerti nel libro “La nuova museologia, le opportunità nell’incertezza“, ci siamo rivolti al dott. Maurizio Vanni che ci ha raccontato il suo punto di vista in questa intervista, regalandoci un contributo di grande interesse. Ringraziando il dott. Vanni per la sua disponibilità, vi auguriamo buona lettura.
Intervista al dott. Maurizio Vanni
User experience, realtà aumentata, museo e turismo sostenibile, biomusei, digitalizzazione HD delle collezioni, marketing culturale, Green Marketing, programmi di educational trasversali. Quanto i musei stanno attuando nuove strategie e progetti in questa direzione e verso l’attuazione di un sistema museale globale d’avanguardia?
Il cambiamento più rilevante che, da almeno un decennio, sta attraversando la “museologia del presente” è connesso alla valorizzazione e alla gestione delle strutture che producono cultura. La pandemia ha solo velocizzato un’evoluzione già in corso suffragata dalla Convenzione di Faro e suggerita con energia dalla Dichiarazione di Roma. Inutile negarlo, la metamorfosi parte dalla decisione di mettere al centro dell’offerta culturale ogni visitatore, il pubblico generico, e prende consistenza dalla necessità di una gestione non lontana da quella di un’impresa privata. Tutti i termini che ha indicato potrebbero essere interessanti, ma solo se utilizzati in precisi contesti, supportati da una progettualità etica e responsabile (condivisione del bene comune, del bene immateriale e del bene relazionale) e strutturati su piani di crescita sostenibile (sostenibilità economica, responsabilità sociale, sostenibilità ambientale, salute e benessere). Ad esempio, la tecnologia è un supporto indispensabile per migliorare l’esperienza di visita delle persone, per contribuire alla loro profilazione e per far conoscere alcune collezioni, ma da sola sarebbe inutile o addirittura controproducente. Anche a livello strategico, con piani di marketing sempre più orientati verso “obiettivi immateriali misurabili”, la scelta del Marketing della sostenibilità ambientale in luogo del Green Marketing potrebbe risultare decisiva. Detto questo, probabilmente non sarà possibile giungere a un vero e proprio sistema museale globale connesso alla museologia del presente, ma a un approccio alla valorizzazione e alla gestione museale simile, con le tante accezioni connesse all’eredità culturale, all’identità del paese in questione e basata su team di lavoro interdisciplinari, internazionali, intergenerazionali e intergenere.
Il direttore Generale dell’ICOM Peter Keller ha detto:
[…] Museums keep reinventing themselves in their quest for becoming moreinteractive, audience focused, community oriented, adaptable and mobile. […] ”(ndr – Director General Peter Keller, speech for International Museum Day 2019 in Rabat, Marocco – 18 Maggio 2019).
Una definizione perfetta che completerei con “economicamente sostenibili (per mantenere la promessa di essere un servizio pubblico), ecosostenibili (il museo è la struttura più impattante che produce cultura), in cui divertirsi (‘diletto’ nel proprio tempo libero), socializzare e condividere percorsi legati alla salute e al benessere”.
Anche i musei Italiani si stanno muovendo in questa direzione?
Quasi tutti i musei italiani stanno cambiando marcia, ad iniziare da quelli più blasonati dalle collezioni più rilevanti, ma forse più per merito di iniziative dei singoli direttori che non per un vero e proprio percorso condiviso. È ancora tanta la strada da fare per disciplinare e rendere prassi modelli di valorizzazione e di governance più appropriati alle funzioni dei musei e alle esigenze dei nuovi pubblici. Anche a livello formativo, non solo trovo paradossale che non esista una laurea triennale in “museologia e gestione museale”, ma se parliamo di cambiamento della scienza museale come non preparare i nostri studenti a colmare queste lacune? Auspico una maggiore collaborazione tra università e musei in modo da formare figure professionali dalle competenze sempre più orizzontali, con piani di studio in cui i percorsi umanistici possano dialogare con quelli economici e scientifici, per poter creare team interdisciplinari pronti alle nuove sfide. E se il costo di questo approccio può sembrare più oneroso, per una volta proveremo a ideare progetti di fundraising più efficaci anziché tagliare servizi indispensabili per una comunità.
“La nuova museologia dovrà inserire tra i suoi nuovi obbiettivi quello di poter essere considerata una piattaforma del benessere esperienziale”. Saranno necessarie nuove figure professionali per lavorare alla realizzazione di questo obbiettivo?
Nel 2004 nasce il marketing non convenzionale: una serie di strategie che, sollecitate dalla mente illuminata di Philip Kotler, spostano l’attenzione dello specialista dal convincimento al coinvolgimento. Ben presto il marketing emozionale, esperienziale e relazionale sarebbero sconfinati nelle dimensioni della cultura e di tutti quei professionisti impegnati nel far entrare le arti e i musei nella vita di tante persone. Il Marketing esperienziale, in particolare, è basato sul rendere qualunque avvenimento, anche la visita a una collezione o a una mostra temporanea, unico e memorabile facendolo vivere in modo attivo ai visitatori. Una piattaforma esperienziale, quindi, non è altro che un evento pensato su misura per un certo target di persone che ha come obiettivo quello del coinvolgimento emozionale, cognitivo e sensoriale. Tra i piani di crescita sostenibile, oltre alla sostenibilità economica, sociale ed ambientale, all’interno dei musei sta assumendo sempre più importanza quello dedicato alla salute e al benessere interiore. La “piattaforma del benessere esperienziale” corrisponde a un’offerta culturale che ha come mission quella di coinvolgere emotivamente il visitatore, ma al tempo stesso anche quella di allontanarlo dallo stress quotidiano e da quel senso di ansia e stress che la pandemia ha causato. Una visita guidata con performance teatrale, ad esempio, può avere un affetto salutare di piacere e di benessere. Come già accennato, certamente saranno indispensabili nuovi profili professionali (come ad esempio psicologi, psichiatri, sociologi, antropologi, informatici, economisti, specialisti di marketing, ecc.) che andranno ad affiancare i professionisti più tradizionali.
Oggi in Italia quali sono le 3 maggiori criticità che un museo si trova ad affrontare ?
Seppure non per tutti, nella grande maggioranza sono ancora molte le criticità dei nostri musei. Mi permetto di segnalarne almeno quattro:
- Non profila il pubblico generico e quindi non sempre può ideare offerte culturali su misura
- Non investe in ricerca e sviluppo attraverso partnership con le università
- Non facilità i rapporti tra pubblico e privato
- Non propone percorsi di aggiornamento professionale e non completa l’organico con nuove competenze.
Lei scrive che “Non esiste cultura senza socialità”: la cultura accessibile online – e condivisa dai musei – incentiva oggi il grande pubblico ad andare nei musei?
Prima di rispondere a questa domanda, credo sia opportuno fare due premesse: quando si parla di “grande pubblico” non ci riferiamo a quello delle grandi “mostre blockbuster”, solitamente di grande impatto mediatico, ma di basso contenuto scientifico, che coinvolgono centinaia di migliaia di persone che dedicano un tempo relativamente breve ai percorsi percettivi. Le strategie dei musei non devono essere orientate al coinvolgimento quantitativo, ma alla fidelizzazione personalizzata di pubblici profilati. I biglietti, da soli, non possono risolvere i problemi economici di un museo. Quando parlo della relazione tra cultura, sociale e socialità, mi riferisco ai modelli di sviluppo delle strutture culturali che decidono di investire nella MSR – Museum Social Responsibility, in quelle risorse intangibili che connettono il museo al territorio e alla comunità: bene comune e bene relazionale. Concetti che, disciplinati da strategie olistiche, portano a profilare il pubblico generico sulla base del loro nuovo stile di vita, a coinvolgerlo con proposte culturali originali e personalizzate concepite come coinvolgenti “piattaforme del benessere esperienziale”. Ne risultano evidenziati contenuti immateriali connessi con la bellezza, l’etica, il benessere, la salute e l’ambiente che puntano a un desiderio condiviso di bene collettivo.
La tecnologia – dalla digitalizzazione delle collezioni alla realtà aumentata – è uno strumento che si è rilevato un valido alleato per molti musei. Perché alcune istituzioni culturali ancora oggi sono restie ad introdurre nuove tecnologie nei musei?
Nessun museo, oggi, può fare a meno della tecnologia e non solo per la digitalizzazione dei beni culturali. Però è sempre bene leggere le avvertenze prima del suo utilizzo. L’innovazione tecnologica mette a disposizione nuovi strumenti in grado di garantire “nuova tutela”, anche attraverso l’utilizzo di nanotecnologie, e una migliore valorizzazione del nostro patrimonio favorendone una più ampia conoscenza attraverso i canali digitali, conservando memoria di opere d’arte, spesso eccessivamente fragili e vulnerabili, mettendole a disposizione delle generazioni future. Con proposte percettive innovative connesse alla realtà aumentata e alla realtà immersiva è possibile migliorare e prolungare l’esperienza percettiva del visitatore. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale combinata con programmi di geolocalizzazione può aiutare nella profilazione di nuovi pubblici. Come ogni novità, però, anche le dimensioni digitali dovranno attenersi a un programma, muoversi all’interno di un contesto che, prima di guardare al futuro, perfezioni e renda migliore ed efficace il presente. L’esperienza diretta non potrà mai essere sostituita dai virtual tour, ma per particolari raccolte, anche per motivi di distanza, potrebbe risultare molto importante.
Ci racconta i suoi programmi futuri?
Attualmente sto lavorando al mio terzo manuale di museologia che dedicherò al rapporto tra i musei e la sostenibilità ambientale. Il primo, “Il museo diventa impresa”, è dedicato alla sostenibilità economica e il secondo, “La nuova museologia”, ai nuovi modelli di valorizzazione e gestione museale in sintonia con la loro crescita sostenibile. Entro l’estate dovrebbe uscire la versione in inglese almeno dei primi due per poter riprendere i miei tour internazionali supportato da nuove opportunità divulgative, formative e consulenziali. La cattedra universitaria di “Museologia per il turismo” presso l’Università di Pisa mi permette di continuare a fare ricerca e mantenere connessioni con Facoltà di altri paesi. L’incarico alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e di Massa Carrara, invece, sta completando la mia crescita professionale augurandomi di poter apportare il mio contributo proprio alla valorizzazione e gestione dei Beni culturali e delle strutture che producono cultura. Appena possibile riprenderò con regolarità a muovermi in altri paesi dando priorità ai luoghi e alle istituzioni che hanno manifestato particolare interesse alle mie competenze e alle mie esperienze: Corea del Sud, Argentina, Brasile e Canada.
Biografia di Maurizio Vanni
Maurizio Vanni, storico dell’arte, museologo, specialista in governance e gestione museale. Collabora con la Soprintendenza Archeologia, Bene Culturali, Paesaggio delle province di Lucca e Massa Carrara, è docente di Museologia per il turismo (UNIPI) e Marketing non convenzionale (Università Tor Vergata). Ha curato 600 mostre in oltre 60 musei di 27 paesi del mondo e ha collaborato in più di 40 università in città come Seoul, Shanghai, Pechino, Tokyo, New Delhi, San Paolo, Mosca, Buenos Aires, Parigi, Chicago, Toronto, Citta del Messico. Già autore de Il Museo diventa impresa. Il marketing museale per il break even di un luogo da vivere quotidianamente (Celid, 2018).
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