Lo scorso 30 ottobre, abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla ReA! Art Fair alla Fabbrica del Vapore di Milano. In questa fiera dal sapore moderno e vibrante, abbiamo incontrato molti giovani artisti e potuto ammirare le loro opere. È stata letteralmente una ventata di novità e passione – per l’Arte, le nuove idee, i progetti creativi e tanto altro.
Dal digitale alla scultura – i nuovi artisti esplorano e creano: il risultato per lo spettatore è davvero coinvolgente. Abbiamo deciso di intervistare alcuni di questi talentuosi artisti per conoscerli meglio, per avere il loro punto di vista ed essere coinvolti nelle loro storie e percorsi professionali. Oggi vi invitiamo a conoscere Gaia Bellini, un’artista che ci accompagna per mano alla scoperta della magia e poesia della Natura nell’Arte – attraverso un’interessante tecnica di stampa botanica e una continua ricerca, tra forza e meraviglia.
L’Intervista a Gaia Bellini
• Cosa ti ha spinto ad intraprendere il tuo percorso di artista?
Formalmente individuo l’inizio del mio percorso in un’esperienza che mi ha dato il coraggio di trasformare la mia quotidianità in quello che definiamo arte. Con tutta la spensieratezza – e l’incoscienza – dei diciotto anni, sei anni fa, comprai un biglietto per l’Argentina che mi cambiò la vita. Fu un viaggio di imprevisti e fatalità, per tutta l’America Latina, in autostop e ospite ogni pochi giorni di diverse famiglie o in tenda all’interno dei parchi nazionali. Senza sicurezze e passando attraverso una continua scoperta di concetti, intuizioni e formazione esperenziale grazie alle donne che mi hanno aiutata durante il viaggio ho imparato la forza e la meraviglia della delicatezza, della gentilezza, e con queste la grande tradizione artigiana dei colori che scaturiscono dal mondo vegetale che accomuna le più antiche culture del mondo. È nata così in me la necessità di raccontare la vita attraverso le immagini, il modo più autonomo per esprimere le sensazioni che io conosca, ed ho quindi scelto di approfondire la parte estetica all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
• Cos’è per te fare Arte oggi?
Fare arte oggi, lasciando da parte chiavi moralistiche e letture critiche, è quel che è stato fare arte durante tutta la storia dell’uomo. Citando Germano Celant se l’arte ritorna ad essere una forma di magia e d’incanto elementare naturale, se si mescola ai deserti, alle rocce, alla neve, alle reazioni fische e biologiche, se tende ad esaltare la scoperta di un vivere primordiale in cui mente e corpo, concetto e natura, abbiano importanza massima, se si mimetizza con gli elementi naturali e mentali, sino ad annullarsi allo stato puro della natura e del concetto, l’arte non ha più necessità di esplicazione e giustificazione, ma solo di una partecipazione sensoriale e mentale. Si offre solo nella sua naturalità magico-mentale. Per questo amo l’arte primitiva: non accetta di essere addomesticata, non vuole essere ridotta a parole o a letture critiche.
• L’arte è ricerca e sperimentazione?
Sono oggi più sicura che mai che quel che differenzia un artista da chi si diletta semplicemente nell’emulare qualcosa che abbia la parvenza di arte sia proprio la ricerca, che altro non è che un ricerca interiore in noi stessi obbedendo al detto di Socrate “Conosci te stesso”! La sperimentazione riguarda poi anche l’importanza dei materiali. Nel mio caso quando inizi a pensare ai coloranti naturali come modus operandi, sei attenta al loro mondo in maniera sensibile. Anche se si può affrontare a lungo e breve termine, c’è un’attenzione ai materiali e la sensibilità per cercare le risposte diventa il tuo disegno. Le tue fonti diventano davvero diverse, lo strato botanico ti fornisce il materiale e le tecniche ti aiutano ad esprimerlo. In questo modo la materialità dei coloranti naturali ti porta nel vivo del colore. Questa attività trasformativa e ciò che incarna è davvero amaliante, perseguendo un aspetto minuto in profondità, nella speranza che così facendo si possa capire qualcosa di più grande su chi siamo. La pratica diventa così l’incarnazione della conoscenza ed in parte una risposta all’immaterialità del virtuale.
• Quali sono i materiali che utilizzi per creare le tue opere? E quali vorresti sperimentare domani?
Come stavo dicendo, nella mia ricerca i materiali sono fondamentali. Il colore botanico apre un mondo ed espone la meravigliosa dualità del colore, sia come materiale che immateriale, portandoci al suo intrinseco essere irrilevantemente la lunghezza d’onda riflessa dalla luce. Per creare le Sindoni vegetali utilizzo semi e bacche del mio territorio, ché sono la parte che la pianta crea con lo scopo di ricreare, e che andando a raccogliere non danneggia la pianta stessa. Utilizzo le piante del territorio come segno del legame che unisce i corpi al luogo che li ha generati: tutti abbiamo bisogno di tenere i piedi per terra, se possibile sulla nostra terra. Proprio come le erbacce riflettiamo la storia dei luoghi, della terra da cui traiamo la forza per crescere. Sono fortunata perché sul Lago di Garda, dove vivo e lavoro, abbiamo ben quattro fasce climatiche distinte, dalla mediterranea all’alpina, e per questo c’è una biodiversità eccezionale, ma quando per alcuni progetti ho bisogno di particolari piante tintorie che non trovo nelle valli vicine le coltivo nel mio atelier in collina, che alla vista sembra più un piccolo giardino botanico che uno studio. Quando voglio parlare di luce sono solita usare piante che generano pigmenti instabili alla luce, quando invece di densità e materia utilizzo piante tintorie. Un domani inserirò in alcuni lavori il ricamo, un’arte antica dalla forte carica spirituale che narra attraverso il simbolo e trasmette attraverso il nodo.
• L’Arte è un veicolo di messaggi? C’è un messaggio dietro le tue opere?
Abbiamo infinite possibilità che intercorrono tra la vocazione ed il lavoro, e tra le mani un’arte che diventa fatto sociale per via della sua contrapposizione alla società senza per questo qualificarsi come socialmente necessaria. Trovo tuttavia importante – fondamentale – farsi domande come individuo, trovare la propria voce prima ancora di cercare un modo per raccontarsi, e ricercare poi le parole giuste di quel che si vuole dire, in modo da restituirne un’immagine chiara, costruendo il proprio lavoro giorno dopo giorno partendo dal proprio vissuto, senza ricreare bellezze e verità artificiali a noi stessi. Con le Sindoni vegetali vorrei molto semplicemente spogliarmi e parlare a me stessa, con l’effetto di arrivare con intensità smuovendo una coscienza ecologica . È anche il mio modo per parlarmi e parlare di delicatezza, ma anche per accettare la natura transeunte delle cose, cogliere la bellezza dell’impermanenza. Ripristinare un rapporto autentico con la natura. Semplificare la mia quotidianità. Respirare. Raccogliere le ultime bacche dell’inverno in attesa della primavera, ovvero vivere al ritmo delle stagioni.
• Come hai vissuto il lockdown?
Al di là della triste situazione storica, ho vissuto la quarantena come fatto personale e a sé stante in maniera molto serena. Questa lunga pausa dal quotidiano mi ha permesso di concentrarmi in modo totale sulla mia arte e nella riflessione. Esiste un nesso tra l’arte intesa come atto creativo e la nostra percezione dello spazio e del tempo e la quiete, l’assenza di impegni, il silenzio delle auto che non passavano finalmente davanti a casa è stato terreno fertile per i miei pensieri, ovvero i miei bozzetti. È stato anche terreno fertile per tutte le erbacce che sono cresciute floridamente nelle valli vicino a casa, ovvero i miei materiali.
• Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto costruendo il mio futuro, sia a livello personale che artistico – le due cose sono in realtà una – di giorno in giorno, facendo quel che faccio con passione, semplicità, sincerità e coerenza. Progetto di vivere bene la quotidianità.
• Quali sono le tue riflessioni sul mercato dell’arte emergente oggi in Italia?
Non sono un’esperta di mercato dell’arte ma ho l’impressione che quelli che vengono spesso chiamati artisti emergenti non siano effettivamente e concretamente tali, e che per gli artisti davvero agli inizi del proprio percorso – ai quali a questo punto serve un altro nome – sia complesso entrare nel mercato. Sarebbe molto triste e soprattutto limitato se l’arte diventasse un fatto messo in atto prettamente da e per gli specialisti del settore, in una linea unidirezionale. La speranza è che prendano sempre più piede alcune giovani realtà, spesso anche sostenute da amministrazioni lungimiranti, che credono nell’importanza dei giovani e dell’arte.
• Quanto influisce il digitale nella tua creazione artistica o nella tua comunicazione come Artista?
Il digitale è totalmente estraneo alla mia creazione artistica: per trovare il materiale di cui ho avuto bisogno per studiare le antiche pratiche, usanze e credenze che giravano attorno alla tintura naturale nei secoli precedenti mi sono state piuttosto essenziali le biblioteche, come la Marciana a Venezia, che custodiscono vecchi libri che sono stati preziosissimi nei miei studi. Per quanto riguarda la comunicazione di sicuro la rete ci da modo di essere in perenne contatto con il mondo, che può essere una grande opportunità e un forte limite. Nel mio caso dover comunicare con rapidità da social un lavoro sottile, con un tempo lento ed una voce che è sussurro, rimanendo me stessa e senza intaccare la sensibilità che metto nelle stoffe, è complesso. Preferisco arrivare a pochi ma in profondità ovvero quello che, sempre meno raramente, sembra essere il contrario dell’andamento dell’arte oggi. Allo stesso tempo sono grata di poter arrivare grazie ai social a persone che condividono la mia visione e che possono giovare della mia ricerca.
• Ci racconti un’opera a cui sei particolarmente legata?
Sono particolarmente legata ai miei libri d’artista, ché rappresentano e condensano tra le loro pagine tutta la mia ricerca. Sono diversi, alcuni taccuini botanici sintetizzano i luoghi con una visione completa del luogo attraverso i due parametri fondamentali, assi della sensibilità antica: la luminosità (la luce, il colore) e la densità (la materia, la forma). In questi libri avviene una narrazione che definisce e descrive gli spazi attraverso la loro natura, fermo immagine di un ambiente in divenire, dando un identità alla flora invisibile, per quanto prepotentemente presente nel corso della storia dell’uomo, riflettendo in questo modo anche sull’identità dell’uomo e sul suo percorso esistenziale. A partire da queste intuizioni, il lavoro di raccolta compie un proprio percorso che implica muoversi, ritornare sui propri passi, districandosi in percorsi di ricerca fisica quanto talvolta mentale.
Altri taccuini lasciano i luoghi e diventano pure ricerche cromatiche e tintorie. Questi libri vanno ad interagire con le infinite possibilità cromatiche di uniche specie botaniche palesando la ricchezza della diversità intrinseca in ogni individuo o società che sia. La stessa che rende la terra, così instancabile e meravigliosa nella sua impermanenza, viva e vivibile.
L’idea di esporre le mie ricerche personali come lavori fruibili anche da un pubblico è stata quella di trasmettere il senso di delicatezza di un oggetto consultabile ma delicato, “rovesciando la maleducazione di toccare con le mani” il cui valore oggi è quello di richiamare tutti a scoprire la bellezza, una bellezza che educa.
• Le tue ultime opere si chiamano “Sindoni Vegetali”. Tra mutamento, sacralità e natura: da dove nasce questa unione?
Questo trinomio è nato dallo studio e dalla comprensione dell’estetica del vuoto. Le Sindoni vegetali – che creo con una tecnica di stampa botanica – nel lasso di un lungo tempo di contemplazione, scandagliato da forti variabili che influiranno sul risultato, assorbono quel che è l’impronta ed il colore contenuto all’interno di bacche e semi che avvolgo nella tela durante la sua prima fase di mutamento, diventando pelli di una natura che ora c’è e domani non più, in un silenzioso e continuo mutamento di colori vibrazionali. Delle vere e proprie sindoni quindi, ma questa volta di una natura di cui tutti facciamo intrinsecamente parte. Questa prima fase è quella che io vedo come una performance nascosta. Dopo l’intelaiatura e nel tempo la tela andrà poi mutando alla luce solare sino a lasciare in superficie solo quelli che sono stati i segni più intensi che il tempo ha inciso rendendo intrinseci alla tela, e in alcuni casi tornando al vuoto originale. In questa serie di sindoni la componente primaria non è più l’impronta ma l’assenza della stessa, in un movimento a ritroso di creazione, che in un cerchio a spirale diventa distruzione che a sua volta crea un nuovo tipo di creazione.
• Qual’è il tuo legame con la Natura?
Non parlerei di legame ma piuttosto di appartenenza, mi sento intrinsecamente parte della natura. Ti vorrei rispondere meglio attraverso le parole di chi, lavorandoci con le parole, ha saputo scegliere quelle giuste per esprimere questo sentimento che condivido. Ernest Jung scrive, in una delle frasi che amo rileggere spesso “[…] se l’animo umano si distoglie dalle cose umane e si volge alle piante, agli animali e ai minerali, non è affatto un errore, come a volte si sente dire. Quell’atto può essere il segno di un puro sforzo di auto conservazione, il desiderio di prendere parte a un’esistenza superiore. Se le fontane si disseccano si va al fiume. Là non è necessario credere: il prodigio è palese. Quando tutto è silenzio le cose cominciano a parlare; pietre animali e piante diventano fratelli e sorelle e comunicano ciò che è nascosto. Un arcobaleno invisibile circonda quello visibile.”. Ed aggiungerei che questo sforzo non è da riconoscere in un nichilista allontanamento dalla società, ma un passo di amore verso l’uomo. Gaia Bellini
Biografia di Gaia Bellini
Gaia Bellini nasce a Bardolino, tra le colline del Lago di Garda, nel 1996. In giovane età studia acquerello in bottega di paese. Terminati gli studi, dopo un anno passato in Sud America durante il quale ha modo di assistere e studiare la materia del colore che scaturisce dal mondo vegetale, torna in Italia dove si laurea all’Accademia di Belle Arti di Venezia in Arti Visive e, parallelamente, da sempre amante e attenta osservatrice della natura, approfondisce lo studio di piante tintorie e stampa vegetale, arrivando a trovare la sua cifra poetica esprimendosi attraverso quelle che lei chiama Sindoni vegetali: tele pittoriche che crea ricercando armonia e delicatezza sul tessuto che, avvolto in crisalidi, si lascerà imprimere nel tempo dando forma in questo modo alla sensibilità estetica ricercata, nel mezzo tra ricerca cosciente e scoperta. Gaia Bellini
Gaia Bellini