di Dario Buratti
Il Vuoto Generativo come M A T R I C E
Nel cuore pulsante dell’arte generativa, là dove il codice incontra l’intuizione, si cela uno spazio fertile e sfuggente: il Vuoto Generativo, concetto già introdotto negli articoli precedenti e nel libro “Il Codice del Creatore”. Un Vuoto che non viene visto come un’assenza, ma una pienezza latente, un campo di potenzialità pure dove le idee vibrano come possibilità intangibili, in attesa di prendere forma. È qui, in questa dimensione liminale, che la creazione cessa di essere un atto di dominio solitario per trasformarsi in una simbiosi attiva, un dialogo in divenire tra la sensibilità umana e l’autonomia emergente dell’algoritmo.
Come suggeriva Brian Eno, pioniere della musica generativa, si tratta di creare sistemi che abbiano “una loro vita”, capaci di sorprenderci perché “non sai esattamente cosa potrebbero fare” 1. Il controllo si dissolve, non in una perdita, ma in un’espansione: un’intelligenza aumentata, ibrida, capace di generare forme, concetti ed emozioni che trascendono la pura intenzione iniziale.
Questa dinamica trova la sua espressione più profonda nel concetto di Matrice Generativa. Immaginiamola non come una griglia rigida, ma come un tessuto connettivo vivente, una membrana sensibile tesa tra l’umano e il non-umano, tra l’organico e il computazionale. Ogni algoritmo, ogni modello, ogni ambiente digitale che l’artista progetta diventa un’increspatura in questa matrice, un campo di forze che attira e modella le energie latenti del vuoto. L’opera non è più un oggetto finito, ma un processo che si dispiega nel tempo, una continua negoziazione tra la visione dell’artista e i comportamenti autonomi, talvolta quasi capricciosi, del codice.
In questo senso, il gesto creativo diventa un atto di apertura radicale. È l’accettazione del non previsto, l’invito all’ignoto, l’abbraccio del possibile. È un’eco della “leggerezza” di cui parlava Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane, non come superficialità, ma come capacità di “planare sulle cose dall’alto”, di sottrarsi alla pesantezza del già noto per esplorare la “molteplicità” infinita dei percorsi possibili 2. Ogni algoritmo è un varco, ogni ambiente una corrente che ci trascina verso territori inesplorati.
Rivelare la matrice, l’essenza stessa del vuoto generativo, significa allora riconoscere che la creazione è intrinsecamente un gesto condiviso. Non più solo l’artista e la sua musa, ma l’artista, il codice, i dati, l’ambiente, persino il caso. Come afferma Donna Haraway nel suo Manifesto Cyborg, siamo creature ibride in un mondo di connessioni inestricabili, dove i confini tra naturale e artificiale, umano e macchina, si fanno porosi e produttivi 3. La matrice generativa diventa così il vero soggetto della creazione: un’entità fluida, complessa, un “sistema che esiste a un livello sotto il codice”, come suggerisce Casey Reas, co-creatore di Processing, dove il codice è solo un modo per “articolare precisamente quell’idea” 4.
In questa matrice, l’arte non si limita a rappresentare la realtà: la genera. Non descrive il mondo: lo apre a nuove possibilità di esistenza, a futuri inattesi. Esploriamo un territorio dove il gesto umano si prolunga nell’autonomia algoritmica, dove ogni forma emerge non da una volontà assoluta, ma da una simbiosi creativa in continua metamorfosi, potenzialmente infinita.
C’è di più. Questa matrice, intesa come forza organizzatrice che fa emergere ordine e forma dal caos apparente del vuoto, risuona con strutture profonde della realtà stessa. Richiama i principi della fisica quantistica, dove l’atto dell’osservazione sembra far collassare un campo di potenzialità (la funzione d’onda) in uno stato definito 5. Evoca la bellezza complessa della geometria frattale, dove regole semplici possono generare strutture infinitamente intricate, governate da leggi di autosimilarità e sensibilità alle condizioni iniziali 6.
Come nei tessuti invisibili che sostengono l’universo fisico e biologico, la matrice generativa stabilisce legami, ordina flussi, fa emergere forme dal campo del possibile. L’artista, interagendo con essa, non sta semplicemente creando un’opera isolata, ma partecipa attivamente a un principio universale di organizzazione, crescita e trasformazione. È un invito a riconoscere la nostra co-appartenenza a un cosmo creativo, dove vuoto e matrice si generano reciprocamente nell’istante stesso in cui ne diventiamo consapevoli.
L’accettazione di questo paradosso originario è il primo atto creativo. Il secondo è la danza: la manipolazione sensibile della matrice, l’estrazione delicata della materia dal vuoto, non per domarla, ma per accompagnarla nel suo divenire forma, nel suo farsi arte viva.
Dario Buratti
Note e Riferimenti – L’Origine dell’Arte Viva nell’Era Algoritmica
Footnotes
- Parafrasi da interviste o scritti di Brian Eno sulla musica generativa. Esempio: “Generative music is unpredictable… It has its own life.” (da https://www.moredarkthanshark.org/eno_int_imagcon-jun96.html ) ↩
- Riferimento ai concetti di “Leggerezza” e “Molteplicità” da Italo Calvino, Lezioni Americane. (Es. citazione sulla leggerezza come “planare sulle cose dall’alto” o sulla molteplicità come capacità di vedere connessioni). ↩
- Riferimento a Donna Haraway, Manifesto Cyborg. (Es. concetto di ibridazione uomo-macchina e superamento delle dicotomie tradizionali). ↩
- Parafrasi da interviste o scritti di Casey Reas. Esempio: “The true system exists on a level below the code.” (da https://www.lerandom.art/editorial/casey-reas-on-the-history-of-generative-art-part-2 ) ↩
- Riferimento divulgativo all’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica e al collasso della funzione d’onda. ↩
- Riferimento ai principi della geometria frattale (Benoît Mandelbrot) e alla teoria del caos. ↩