Double Act
Gli artisti di oggi e di ieri come rappresentano le emozioni umane? La risposta è in Double Act, esposizione che mette insieme i capolavori del Seicento olandese della collezione del Central Museum di Utrecht ad alcuni masterpieces di video-arte della collezione Kramlich; molti dei quali per la prima volta esposti fuori dagli Stati Uniti. Un’indagine su cosa significa essere umani, questo l’intento della mostra ospitata dal Central Museum di Utrecht fino al 15 gennaio 2023. Qui due collezioni apparentemente molto diverse si incontrano: le opere dei più famosi pittori di Utrecht come Abraham Bloemaert, Roeland Saverij, Jan van Scorel e Dirck van Baburen, da un lato, i grandi nomi contemporanei come Bill Viola, Marina Abramović, Bruce Nauman e Steve McQueen, dall’altro. La combinazione funziona come uno specchio per l’anima dove il pubblico è invitato a lasciarsi trasportare nelle emozioni evocate da questi studiati crossover.
“Con Double Act esploriamo la sensazione di sublime che le arti visive possono offrire. Con l’arte del passato e del presente, miriamo a stimolare la mente e a toccare il cuore dello spettatore”. Bart Rutten, direttore artistico
L’arte come immaginazione e creatività, al di là del mezzo con cui viene espressa
Le opere selezionate alla mostra Double Act conversano mostrando sorprendenti somiglianze in termini di soggetto o messaggio. Infatti, se guardiamo oltre il mezzo della pittura o del video, vediamo che entrambi presentano gli effetti di una precisa combinazione di luci e ombre insieme ad una delineazione enfatica dell’immagine. Ciò che accomuna tutte le opere in mostra è il loro carattere toccante: descrivono emozioni, ognuna usando le tecniche del proprio tempo, riflettendo su questioni attuali come l’emancipazione, il colonialismo, l’imperialismo e la guerra. L’idea alla base è quella di unire queste opere d’arte creando inaspettate connessioni temporali e fisiche che conducano il visitatore ad ripensamento della storia umana.
Gli inediti dialoghi dentro la mostra Double Act
La giustapposizione tra l’arte statica della pittura e il dinamismo delle installazioni video migliora l’impatto sull’esperienza del visitatore. Alcuni esempi. Nel dipinto di Paulus Moreelse, La tortura di Prometeo, le emozioni balzano agli occhi dello spettatore: Prometeo, il dio che portò il fuoco sulla terra, urla di dolore mentre subisce la sua punizione. Il fuoco è qui usato per rappresentare la sofferenza, ma è anche l’elemento che mantiene in vita l’umanità; così accanto al quadro, in contrapposizione, il videoartista Bill Viola utilizza la fiamma insieme all’acqua come simboli di vita e di morte. Contrapposizioni e dialoghi, questa volta tra violenza e armonia sono indagati nel lightbox Lynching Tree di Steve McQueen e nel dipinto Orpheus and the Animals di Roelant Saverij.
Lynching Tree (2013) mostra un paesaggio armonioso: un grande albero circondato da cespugli rigogliosi e terreni ricoperti d’erba. Studiando la storia di quel luogo, mentre stava registrando il film 12 anni schiavo, McQueen ha scoperto che in passato quel grande arbusto era stato utilizzato come forca per impiccare gli schiavi. Accanto Orpheus and the Animals, dipinto da Roelant Saverij nel 1630, raffigura uno scenario agreste in cui gli animali sono ritratti in una condizione di pace e serenità, accompagnati dalla musica di Orfeo.
Un altro abbinamento emozionante in mostra è l’ambiziosa installazione video di Richard Mosse The Enclave (2013), insieme al dipinto di Hendrik ter Brugghen Mars Asleep (1629). L’installazione di Mosse riguarda i conflitti nella Repubblica Democratica del Congo orientale e si compone di sei proiezioni di soldati in attesa, pronti al combattimento. Le immagini, girate con una pellicola a infrarossi, mostrano frammenti di vita in guerra, dove i combattimenti possono iniziare da un momento all’altro. Allo stesso modo, il dipinto di Brugghen raffigura il dio della guerra sotto le spoglie di un soldato addormentato che, anche nel sonno, continua a stringere la spada. Una rappresentazione allegorica del fugace periodo di pace durante la Guerra degli ottant’anni tra Paesi Bassi e Spagna.
Per secoli le donne sono state poco presenti nella storia dell’arte, se non come muse o modelle. Il quadro di Gerard van Honthorst, La procuratrice (1625), chiaramente dipinto da un punto di vista maschile, con forti sfumature erotiche, ne è un esempio. Si distacca da questo modo di guardare la ricerca di Marina Abramović che già dagli anni Settanta utilizza il video come mezzo per affrontare criticamente la posizione femminile nel mondo dell’arte e nella società in generale. Nella performance Art must be beautiful, Artist must be beautiful (1975) l’artista si pettina fino a farsi male, mentre ripete all’infinito la frase data nel titolo.
La Collezione Kramlich
Con più di 200 pellicole cinematografiche, video e opere multimediali dagli anni Sessanta ad oggi, la collezione Kramlich è considerata una delle più complete raccolte private di media art al mondo. Pamela e Richard Kramlich furono infatti tra i primi collezionisti ad interessarsi a questa forma d’arte a partire dalla fine degli anni Ottanta, contribuendo al contempo all’inclusione di tali opere nella più ampia narrazione della storia dell’arte moderna e contemporanea.
Ai lavori sopra citati si aggiungono oltre 250 opere di fotografia, scultura, pittura e disegni di artisti provenienti da tutto il mondo come Joseph Beuys, Dara Birnbaum, Nan Goldin, Pierre Huyghe, Isaac Julien, Joan Jonas, William Kentridge, Anthony McCall, Steve McQueen, Richard Mosse, Shirin Neshat… La collezione -ospitata nella Napa Valley in California, in un edificio progettato da Herzog & de Meuron- è guidata da un’attenzione per quei pezzi che riflettono su questioni sociali, estetiche e etiche contemporanee.
“Considero i video artisti come figure chiave nella storia dell’arte in senso ampio; rispondono ai problemi del nostro tempo, mentre indagano la percezione e la condizione dell’uomo”. Pamela Kramlich