AFTERIMAGE AL MAXXI L’AQUILA
A cura di Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini
2 luglio 2022 > 19 febbraio 2023
26 artisti internazionali coinvolti in una mostra sul rapporto tra memoria e metamorfosi: Francis Alÿs (1959, Belgio/Messico)**, Francesco Arena (1978, Italia)*, Stefano Arienti (1961,Italia)**, Benni Bosetto (1987, Italia)*, Mario Cresci (1942, Italia)**, June Crespo (1982, Spagna)*, Thomas Demand (1964, Germania/Stati Uniti)*, Paolo Gioli (1942-2022, Italia), Massimo Grimaldi (1974, Italia), Bronwyn Katz (1993, Sud Africa), Esther Kläs (1981, Germania/Spagna)**, Oliver Laric (1981, Austria/Germania)*, Tala Madani (1981 Iran/Stati Uniti), Anna Maria Maiolino (1942, Italia/Brasile)**, Marisa Merz (1926-2019, Italia)**, Luca Maria Patella (1934, Italia), Hana Miletić (1982, Croazia/Belgio)*, Luca Monterastelli (1983, Italia)*, Frida Orupabo (1986, Norvegia), Pietro Roccasalva (1970, Italia), Mario Schifano (1934-1998, Italia)**, Elisa Sighicelli (1968, Italia), Dahn Vo (1975, Vietnam/Germania)*, Paloma Varga Weisz (1966, Germania), Dominique White (1993, Regno Unito/Francia)*, He Xiangyu (1986, Cina/Germania).
Afterimage, la nuova mostra del MAXXI L’Aquila a cura di Bartolomeo Pietromarchi, direttore MAXXI L’Aquila e di Alessandro Rabottini, co-curatore ospite aperta al pubblico da domani, 2 luglio 2022 fino al 19 febbraio 2023. 26 gli artisti internazionali coinvolti, appartenenti a differenti generazioni, tra pittura, scultura, fotografia, installazione, video e sperimentazione digitale, in un dialogo tra nuove commissioni, installazioni site specific, opere provenienti dalla Collezione della Fondazione MAXXI e importanti prestiti.
9 le opere site specific per Afterimage frutto di nuove commissioni: Francesco Arena, Benni Bosetto, June Crespo, Thomas Demand, Oliver Laric, Hana Miletić, Luca Monterastelli, Dahn Vo e Dominique White. Afterimage è una riflessione per immagini sui temi della memoria e della metamorfosi. Il titolo della mostra fa riferimento all’illusione ottica conosciuta come afterimage (in italiano “immagine residua”), un fenomeno per cui uno stimolo visivo – come il flash della macchina fotografica, ad esempio – produce un’impressione sulla retina che persiste anche dopo il proprio passaggio.
A partire da questa suggestione, la mostra è concepita come un poema visivo che riflette sul coesistere di permanenza e transitorietà come condizione universale, radicata nella natura stessa dell’esistenza umana e dei nostri corpi, nel destino dei manufatti, dei luoghi, dei significati e delle immagini.
Afterimage incoraggia gli spettatori a esplorare le 15 sale del museo e i suoi passaggi, a stabilire associazioni intuitive e spontanee tra le opere, l’architettura di Palazzo Ardinghelli e la storia di L’Aquila, città che testimonia quotidianamente l’equilibrio tra memoria del passato e impulso alla trasformazione, e che quotidianamente rende manifesto quanto il principio della metamorfosi trattenga ciò che è stato e generi ciò che sarà. Attraverso un’ampia varietà di media, la mostra include sperimentazioni storiche e contemporanee nei campi della fotografia e del film, interventi installativi, pittura e scultura ed esplora la coesistenza di iconografie frammentate, materiali mutevoli, memorie tattili e corpi in trasformazione.
La parola a Bartolomeo Pietromarchi
“Tre fili si intrecciano in Afterimage: le nuove commissioni e le installazioni site-specific di artisti italiani e internazionali, le opere della collezione della Fondazione MAXXI e le memorie che gli spazi di Palazzo Ardinghelli evocano. La molteplicità degli sguardi che gli artisti in mostra portano ciascuno con sé ci pongono in una relazione vitale con lo spazio espositivo, di cui sono esplorate tanto le sale quanto l’esterno e i passaggi funzionali, nel tentativo di guardare all’architettura come un organismo vivente, un luogo che ha attraversato i secoli e che ora abita il presente con una nuova identità, ovvero quella di museo d’arte contemporanea. Afterimage è un dialogo a più voci tra passato e presente, realtà e suggestione, immaginazione e ricordo. La mostra è nata dalla volontà di riconoscere la specificità de L’Aquila e della sua storia senza trasformare la memoria dell’evento sismico del 2009 in un pretesto narrativo ma, al contrario, di aprire lo sguardo e la riflessione su ciò che sopravvive intorno a noi e che insieme a noi si trasforma”.
La parola a Alessandro Rabottini
“In Afterimage le immagini e le cose, così come i corpi e le storie, sono colti all’interno di una dinamica di perenne trasformazione. I nostri ricordi e gli spazi che abitiamo, le cose che ci circondano così come i simboli che interpretiamo, sono in costante movimento: mutano all’interno della nostra memoria e nella loro stessa essenza materiale. Per quante cose scompaiono altrettante emergono, e Afterimage è il tentativo poetico di guardare ai momenti di fragilità e di impermanenza che punteggiano le nostre vite, ponendosi in ascolto del senso di potenzialità che essi portano con sé. La mostra è anche un omaggio al contesto che la ospita, un contesto che è tanto spaziale quanto umano, nel desiderio di porre in dialogo tra loro opere che provengono da tempi e luoghi differenti ma che qui possono attivare inediti significati e, speriamo, nuove riflessioni”.
NUCLEI NARRATIVI di AFTERIMAGE
Concepita come un poema visivo, Afterimage si sviluppa attorno a nuclei tematici non circoscritti alle singole sale, secondo un’idea di allestimento che supera il concetto di “sezioni” a favore di quattro percorsi narrativi che attraversano gli spazi incrociandosi tra loro e suggerendo un’architettura formale e immateriale all’interno dell’architettura fisica del museo.
La prima linea narrativa è dedicata al connubio di “Materie e memoria” ed accoglie opere che esplorano la capacità dei materiali, siano essi durevoli o effimeri, di assorbire e restituire il trascorrere del tempo. Le opere di June Crespo (nuova commissione), Anna Maria Maiolino ed Esther Kläs stabiliscono un dialogo tra materia e corpo, tra la temporalità dei gesti e quella delle forme, mentre le nuove commissioni di Francesco Arena e Luca Monterastelli pongono in relazione il tempo geologico della pietra con la transitorietà del tempo umano. Bronwyn Katz e Dominique White (nuova commissione), infine, trasformano materiali comuni e di recupero, vicini alla quotidianità, per raccontare un presente in continua trasformazione e all’interno del quale elaborare traumi del passato.
Altro nucleo di indagine è quello dedicato alla “immagine mutevole” e muove dalla considerazione che le immagini non esistono solo in quanto messaggi e significati ma che, come noi, esse vivono nel tempo e nello spazio, incarnandosi in supporti e materiali che cambiano secondo un destino quasi biologico. È questa l’idea che possiamo rintracciare nelle opere di Mario Cresci, Paolo Gioli e Luca Maria Patella, tre pionieri della sperimentazione fotografica e filmica che, a partire dagli anni Sessanta, hanno ampliato i confini della rappresentazione, esplorando artisticamente limiti e possibilità della pellicola, dell’obiettivo e dei procedimenti di stampa. A questo versante storico e analogico, fanno eco le sperimentazioni digitali contemporanee che troviamo nelle fisionomie mutanti di Massimo Grimaldi e nell’ambiguità percettiva tra immagine fotografica e supporto con cui l’opera di Elisa Sighicelli accoglie gli spettatori all’inizio del percorso espositivo. Il rapporto tra passato e presente, tra la materialità del reperto archeologico e l’immaterialità dell’informazione digitale, è evocato dalla nuova commissione di Oliver Laric, posta in dialogo con le opere pittoriche di Tala Madani e Mario Schifano in cui corpi e schermi sono sospesi tra evanescenza e bagliore.
“Il corpo dischiuso” è il terzo percorso narrativo, e guarda ai corpi umani e alle loro molteplici identità e forme di rappresentazione. Quelli in mostra sono corpi che reagiscono agli eventi e che insieme a loro cambiano, sia sul piano materiale sia su quello metaforico. Nelle opere di Francis Alÿs e di Frida Orupabo, ad esempio, il corpo si scompone e ricompone di continuo, e dai suoi frammenti nascono nuove narrazioni per immagini. Attraverso un corpo instabile e sospeso, Paloma Varga Weisz esplora le possibilità della scultura figurativa di esprimere una condizione umana sospesa tra caduta e salvezza, mentre He Xiangyu offre l’immagine silenziosa di un’adolescente colto tra la solitudine del presente e l’attesa del futuro. Corpi in costante metamorfosi sono anche quelli di Marisa Merz, in un dialogo tra le forme dell’esperienza interiore e quelle della storia dell’arte. Infine, le iconografie tradizionali – dalla pittura bizantina a quella cubista – agiscono sui corpi e sulle figure nella pittura di Pietro Roccasalva in un gioco di continue incarnazioni.
Il quarto filone narrativo, ovvero “L’architettura interiore” muove dalla riflessione che, al pari delle entità geologiche e delle architetture, anche le immagini si stratificano nel tempo, accumulando significati, memorie e trasformazioni. Afterimage è percorsa da opere in cui l’immagine si fa essa stessa spazio e interagisce profondamente con l’architettura di Palazzo Ardinghelli, di cui sono allestite non solo le sale ma anche l’esterno e il ballatoio. Nelle opere tessili di nuova commissione di Hana Miletić, fotografia e spazio urbano si fondono tra loro in maniera tattile, mentre nella grande sala concepita per l’occasione da Thomas Demand la simulazione digitale e la fotografia creano un’architettura nell’architettura, uno spazio sospeso tra la realtà e le potenzialità dell’immaginazione. L’installazione ambientale di Benni Bosetto (anch’essa una nuova commissione) trasforma antiche memorie legate alla tradizione orafa locale in una fantasmagoria di forme umane, animali e vegetali. L’intervento appositamente ideato da Dahn Vo, invece, stabilisce un rapporto con l’architettura del palazzo che ci induce a riflettere sulla necessità di ripensare la relazione tra natura e cultura. Infine, immagini di spazi abitati si incarnano in diversi materiali, rivelando le qualità tattili dell’immagine fotografica, come nelle opere di Stefano Arienti.
PERCORSO DI MOSTRA AFTERIMAGE
Afterimage anima ed esplora ogni spazio di Palazzo Ardinghelli a partire dalla facciata e dall’ingresso. Posta sulla soglia del museo, accoglie il visitatore l’opera site specific realizzata per l’occasione da Francesco Arena, Masso con gli ultimi 5 giorni: un blocco di pietra di oltre cinque tonnellate e attraversato da un carotaggio nel quale, ogni giorno, il personale del museo inserirà un quotidiano, così da creare una costante tensione tra il tempo geologico della pietra, indifferente alle vicende umane, e lo stratificarsi delle notizie quotidiane che incessantemente si susseguono. Superata la corte a esedra, l’opera fotografica stampata su raso Senza titolo (5016) di Elisa Sighicelli sovrasta il maestoso scalone dal sapore borrominiano e ci invita ad addentrarci in un percorso in cui immagini e significati mutano costantemente sotto i nostri occhi.
Acquista piena identità di spazio espositivo il ballatoio ad anello che affaccia sulla corte: qui troviamo Saturniidae, opera site specific di Benni Bosetto che trae ispirazione dall’entomologia e dall’astronomia e che, ispirandosi alla tradizione artigiana abruzzese, evoca con forza il principio della metamorfosi.
Una selezione di scatti della serie Interni mossi, realizzata fra il 1967 e il 1979 da Mario Cresci, i dipinti tragicomici Corner Projection (Dog), Screen Ghost e Ghost sitter dell’artista iraniana Tala Madani e il grande dittico su tela Inventario di Mario Schifano animano le pareti della prima sala del piano nobile, al centro della quale campeggia Sleeping Figure, una nuova commissione di Oliver Laric che ha scansionato, ricreato con tecnologia 3D e moltiplicato una statua romana cui ha ricostruito le sembianze originali precedenti a una manomissione del XIX Secolo.
Nella sala successiva, l’opera site specific Untitled dell’artista danese di origini vietnamite Danh Vo interviene nell’ambiente con una struttura in legno concepita in relazione a un monumentale camino di Palazzo Ardinghelli, e all’interno della quale troviamo fotografie di fiori selvatici del giardino dell’artista accompagnate dai nomi latini delle piante trascritti da suo padre, dando così origine a un dialogo tra l’architettura della natura e lo spazio costruito dall’uomo. Nella stessa sala, l’opera dell’artista Bronwyn Katz Groei Grond, realizzata con lana e reti di materassi trovati a Johannesburg, riflette sul destino della città sudafricana attraverso materiali che trattengono le memorie delle persone che li hanno utilizzati, persone che, a seguito della gentrificazione della città, hanno dovuto lasciare le proprie case. Completano l’allestimento della sala opere della serie Cameron Obscura del 1981 di Paolo Gioli, che guarda all’archeologia della tecnica fotografica per attivare una riflessione sui concetti di traccia e memoria.
Di grande impatto l’installazione ambientale site specific realizzata da Thomas Demand nella Sala della Voliera, composta da un intervento a parete e da una serie di opere fotografiche realizzate nell’archivio dello stilista franco-tunisino Azzedine Alaïa (1935-2017). Nella sala centrale di Palazzo Ardinghelli, Demand mette in scena un dialogo tra simulazione e realtà, tra corpo umano e architettura, tra forme digitali e sagome tattili, secondo l’idea che “tutto sia un modello per qualcosa di più grande che verrà” per citare lo stesso artista.
La relazione tra corpo e architettura è presente anche nelle opere Untitled (Voy, sì) di June Crespo, che esplora le possibilità formali ed espressive di materiali tanto duraturi quanto effimeri, mentre nella stessa sala l’installazione di nuova commissione Fiume buio di Luca Monterastelli crea uno spazio in cui la pietra locale e forme che ricordano reperti archeologici paiono misteriosamente riposare.
A seguire, una successione di sale monografiche, a partire da quella dedicata a Pietro Roccasalva: nelle opere Il Traviatore, From Just Married Machine e The Skeleton Key troviamo la tensione fra ascensione e caduta come metafore del desiderio umano di conoscenza, insieme con il tema della continua generazione e rigenerazione delle iconografie. Immediatamente accanto, la scultura di Paloma Varga Weisz Man, Hanging è sospesa tra il ritratto di un uomo reale e la versione a grandezza naturale di un manichino d’artista e, nella precarietà della sua posizione, diventa simbolo di una condizione esistenziale che percorre l’intera mostra. Il percorso prosegue con la profonda e coinvolgente riflessione sulla figura femminile dell’artista norvegese Frida Orupabo che, attraverso le opere Untitled, Labour Ii, Mother and Child I e Angst riattiva materiali fotografici di archivio per decostruire stereotipi razziali e di genere. Da qui si accede sala dedicata alle opere di Francis Alÿs, con la proiezione di diapositive Sleepers II che ritrae uomini e cani randagi ritratti mentre dormono per le strade di Città del Messico, includendo così nella narrazione visiva della città anche coloro che sono spesso ignorati e la cui presenza risulta invisibile. In mostra anche le due poetiche tavolette dell’opera Untitled (Redemption) e i suoi i relativi studi preparatori, in cui scorgiamo due figure umane immerse nell’acqua intente a scrivere ciascuna sulla schiena dell’altra qualcosa che sarà destinato a scomparire presto.
Il tema della relazione tra il corpo, la sua traccia e la sensibilità dei materiali è al centro delle opere Crescendo, BA/// e Bronzato e di Esther Kläs, poste in dialogo con l’enigmatica scultura in ceramica raku dell’artista italo brasiliana Anna Maria Maiolino.
Anche la sala successiva, dedicata a Stefano Arienti, è ispirata ai concetti di traccia e di impressione, questa volta nella memoria retinica e nella relazione tra fotografia e materiali: gli arazzi tessuti a Penne, in provincia di Pescara, della serie Retina traspongono sulla seta memorie di soggiorni dell’artista sul Gran Sasso, in un dialogo tra elaborazione digitale ed eccellenze artigianali locali. L’elaborazione digitale è al centro anche delle opere di Massimo Grimaldi che, con la serie Scarecrows, presenta immagini processate attraverso filtri ed effetti che, sommati fra loro, producono anatomie distorte e figure a mala pena umane, anticipando l’ormai imminente coesistenza tra un’arte umana e un’arte delle macchine.
Da qui ci si imbatte nell’opera site specific di Dominique White Land, Nation-State, Empire, che esplora in modo viscerale il simbolo della bandiera e i suoi significati culturali, storici e politici fino a mostrarne tanto la fragilità quanto la persistenza attraverso l’accumulo e il deterioramento dei materiali scultorei. Il racconto di Afterimage prosegue con la misteriosa scultura di He Xiangy, Asian Boy, in cui il linguaggio della scultura figurativa e iperrealista traduce gli incerti stati d’animo tipici della giovane età, posti qui in dialogo con le altrettanto enigmatiche immagini della serie Fotofinish di Paolo Gioli, in cui calchi di visi transitano in forme naturali.
Da questa sequenza di sale siamo invitati a percorrere gli spazi curvi del ballatoio, che ospitano la serie Materials dell’artista croata Hana Miletić, in cui immagini scattate nelle città di Zagabria e Sisak dopo gli eventi sismici del 2020 sono trasformate in delicate opere tessili: gesti di riparazione spontanei e provvisori diventano così duraturi e tangibili. Ci si avvia dunque verso la fine della mostra attraverso la sala intima e raccolta che ospita l’opera Senza Titolo di Marisa Merz, un dittico che richiama la forma delle pale d’altare e che suggerisce un’osmosi tra pittura e scultura, tra esseri umani ed esseri angelicati, tra l’atto delle creazione artistica e la dimensione della maternità. La mostra si conclude quindi con la sala dedicata alla proiezione dell’opera filmica Terra Animata di Luca Maria Patella, un viaggio onirico tra gli elementi naturali e le azioni umane e che prefigura un paesaggio cromatico dall’aspetto alieno.
PUBLIC PROGRAMM
Nella giornata del 2 luglio i protagonisti della mostra Afterimage, moderati dai curatori Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini assieme a Fanny Borel dell’Ufficio Curatoriale del MAXXI L’Aquila, incontrano il pubblico del Museo per raccontare le opere esposte nel nuovo allestimento. Dall’interesse sulla capacità dei materiali di assorbire la memoria, sia che si tratti di supporti duraturi che di materiali più effimeri, alle sperimentazioni digitali contemporanee e dunque al rapporto tra passato e presente, tra materialità e immaterialità.
Un incontro per scoprire e comprendere, attraverso lo sguardo degli artisti, come la coesistenza di permanenza e transitorietà, materico e immateriale, rappresentino una condizione universale, radicata nella natura stessa dell’esistenza umana e dei nostri corpi, nel destino dei manufatti, dei luoghi, dei significati e delle immagini.
Il primo, alle ore 12, avrà come protagonisti Luca Monterastelli, Francesco Arena e Massimo Grimaldi in dialogo con Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MAXXI L’Aquila. Nel pomeriggio, alle 15 Paloma Varga Weisz, Hana Miletić e June Crespo in conversazione con Alessandro Rabottini e con Fanny Borel.
MAXXI L’Aquila | Piazza Santa Maria Paganica 15, L’Aquila
Info: maxxilaquila@fondazionemaxxi.it | www.maxxilaquila.art