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La collezione delle Gallerie Nazionali di Arte Antica si arricchisce di due nuovi capolavori

Gallerie Nazionali di Arte Antica

Gallerie Nazionali di Arte Antica

Lunedì 23 maggio 2022, alla presenza di Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei, e Flaminia Gennari Santori, Direttrice Gallerie Nazionale di Arte Antica, si è tenuta la presentazione dei due dipinti che sono entrati a far parte della collezione delle Gallerie Nazionali di Arte Antica grazie all’acquisizione da parte dello Stato, su indicazione del museo stesso: La morte di Cleopatra di Giovanni Lanfranco (Parma 1582 – Roma 1647)  e il Ritratto del Cardinale Antonio Barberini di Simone Cantarini (Pesaro 1612 – Verona 1648).

SIMONE CANTARINI, detto IL PESARESE (Pesaro 1612 – Verona 1648)
Ritratto del cardinale Antonio Barberini, 1631
Olio su carta, applicata su tela, 48 × 36 cm

“L’acquisizione da parte dello Stato di due opere per le Gallerie Nazionali di Arte Antica è motivo di festa e di orgoglio per tutti i musei italiani, che ancora una volta dimostrano di essere luoghi di riferimento culturale, con un ruolo attivo e dinamico per la conoscenza del patrimonio culturale e per la promozione della sua fruizione: attività che lo Stato è continuamente chiamato a svolgere in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione”, ha dichiarato Massimo Osanna,  Direttore generale dei Musei, che ha proseguito: “Nell’ottica di accrescere e valorizzare il patrimonio del Sistema museale nazionale, la Direzione generale Musei ha volentieri contribuito e partecipato a questo importante processo di acquisizione. Esprimo il mio più vivo apprezzamento e sono grato a Flaminia Gennari Santori e a tutto lo staff delle Gallerie Nazionali di Arte Antica per il lavoro svolto e per aver colmato le lacune esistenti a Palazzo Barberini mettendo in luce alcuni interessanti aspetti delle vicende collezionistiche e storiche che lo caratterizzano”.

GIOVANNI LANFRANCO (Terenzo, Parma 1582 – Roma 1647)
Il suicidio di Cleopatra,1630 ca
Olio su tela, 100 × 143 cm

Flaminia Gennari Santori, Direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, ha così sottolineato l’importanza delle nuove acquisizioni: “Riportare a Palazzo Barberini opere che un tempo si trovavano qui e che sono state disperse nel corso dei secoli, e in maniera definiva negli anni Trenta del Novecento, è operazione culturale di fondamentale rilevanza. I Barberini sono stati tra i principali mecenati europei del XVII secolo e la loro collezione di opere d’arte può essere considerata il “manifesto” del loro progetto culturale”. Ha poi proseguito ricordando che: “in meno di cinque anni grazie alle acquisizioni compiute dalle Gallerie Nazionali e dalla Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, servizio IV e dalla Direzione Generale Musei, servizio I, del Ministero della Cultura sono state acquistate dallo Stato quattro opere straordinarie: il Ritratto di Abbondio Rezzonico di Pompeo Batoni, il modello per il monumento funebre di Papa Innocenzo XI di Pierre-Étienne Monnot e infine La morte di Cleopatra di Giovanni Lanfranco e il Ritratto del Cardinale Antonio Barberini di Simone Cantarini”.

E’ quindi la cornice d’eccezione di Palazzo Barberini a ospitare i due dipinti. Il capolavoro di Lanfranco è stato allestito al piano nobile, accanto alla Venere che suona l’arpa dello stesso autore, il quale probabilmente si avvalse della medesima modella per la realizzazione delle due opere.

I due dipinti presentano forti affinità stilistiche e compositive e furono commissionati da Marco Marazzoli (1602-1662) musicista di corte del cardinale Antonio Barberini fin dal 1629, il quale scelse di esprimere la sua amicizia e profonda gratitudine per la famiglia papale attraverso il dono delle tre opere di sua proprietà eseguite da Lanfranco. L’acquisizione de La morte di Cleopatra ricompone il nucleo storico della donazione, che comprende anche l’Erminia fra i pastori (una versione è oggi ai Musei Capitolini).

Acquisito da Brun Fine Art di Milano La morte di Cleopatra (olio su tela, cm.100×143) è stata dichiarata di particolare interesse culturale nel 1999 ed è stata esposta alla mostra L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano (Roma, Palazzo Barberini 26 novembre 2020-28 febbraio 2021).

Come nel caso di molti altri ritratti ideali della regina d’Egitto dipinti nel Seicento, Lanfranco gioca sul crinale dell’ambiguità. L’artista rappresenta Cleopatra come modello memorabile di sacrificio e al tempo stesso concepisce un’immagine schiettamente licenziosa: benché agonizzante la regina d’Egitto rimane profondamente ed esplicitamente sensuale come vuole lo stereotipo del personaggio. L’essenzialità della composizione, con un ridottissimo allestimento scenico, è funzionale a catalizzare ogni attenzione sullo statuario candore del corpo, che affiora – quasi un busto antico – dal contrasto cromatico sul fondale.

Il ritratto del Cardinale Antonio Barberini di Simone Cantarini è stato esposto accanto ai ritratti dipinti e scolpiti di Urbano VIII e dei suoi nipoti realizzati da Gian Lorenzo Bernini, Giuliano Finelli, Carlo Maratti, Lorenzo Ottoni nella sala della Divina Sapienza, dedicata a illustrare i protagonisti della famiglia Barberini.

Proveniente dalla collezione della Fondazione Gennaro Santilli, nel 1974 il ritratto del Cardinale Antonio Barberini era stato notificato dalla Soprintendenza con l’attribuzione a Jacob Ferdinand Voet in occasione della vendita all’asta Finarte della collezione del principe Marcello Del Drago a cui era appartenuta, e ritrovato in occasione dell’asta Finarte di Dipinti antichi tenutasi a Roma lo scorso 15 settembre 2020.

Il dipinto, un olio su carta applicata su tela delle dimensioni di 48×36 cm, attribuito all’artista pesarese da Anna Maria Ambrosini Massari, autrice di un importante libro sull’artista, è uno studio preparatorio per il ritratto del giovane nipote di Urbano VIII, appena asceso alla porpora, poi realizzato dallo stesso pittore su tela in due versioni, di cui una conservata alla Galleria Corsini.

Eseguita probabilmente dal vero durante il soggiorno del giovane legato papale a Pesaro nell’estate del 1631, in occasione del passaggio del Ducato alla Chiesa, l’opera rappresenta una prova eccelsa del Cantarini che rivela fin dagli esordi una personalità inquieta, sperimentale ed eclettica.

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