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J’Accuse…! La lettera aperta di Émile Zola

Il J'accuse, pubblicato su L'Aurore di Ernest Vaughan nel 1898

Il J'accuse...!, pubblicato su L'Aurore di Ernest Vaughan nel 1898

J’Accuse…! (Io accuso…!) è il titolo della famosissima lettera aperta scritta dal Émile Zola al presidente della Repubblica francese Félix Faure, pubblicato dal giornale L’Aurore il 13 gennaio 1898. Scopo di questo editoriale era la denuncia pubblica delle irregolarità commesse nel corso del processo ad Alfred Dreyfus. Un J’accuse che denuncia anche la manipolazione dell’informazione.

Questa lettera a distanza di oltre secolo rimane nella storia (e il termine j’accuse da allora è ancora usato) come una lotta scritta alla difesa dei valori di libertà e giustizia nei confronti dell’abuso di potere. Zola fu condannato ad un anno di carcere e ad una multa di tremila franchi ma grazie al suo j’accuse il caso Dreyfus fu riaperto e nel 12 luglio 1906  fu revocata la sentenza di condanna al capitano – notizia che non arriverà mai a Zola che morì qualche anno prima.

“J’accuse”

Traduzione della lettera aperta “J’accuse” di Emile Zola al Presidente della Repubblica Francese Félix Faure in difesa di Alfred Dreyfus [fonte: Wikipedia]

« Monsieur le Président,

permettetemi, grato, per la benevola accoglienza che un giorno mi avete fatto, di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella , se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva ed inqualificabile delle macchie. Avete conquistato i cuori,Voi siete uscito sano e salvo da grosse calunnie. Apparite raggiante nell’apoteosi di questa festa patriottica che l’alleanza russa ha rappresentato per la Francia e Vi preparate a presiedere al trionfo solenne della nostra esposizione universale, che coronerà il nostro grande secolo di lavoro, di libertà e di verità. Ma quale macchia di fango sul Vostro nome, stavo per dire sul Vostro regno – soltanto quell’abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un consiglio di guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. È finita, la Francia ha sulla guancia questa macchia, la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. La verità, la dirò io, poiché ho promesso di dirla, se la giustizia, regolarmente osservata non la proclamasse interamente. Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell’uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto. In nome del Vostro onore, sono convinto che la ignoriate. E a chi dunque denuncerò se non a Voi, primo magistrato del paese? Per prima cosa, la verità sul processo e sulla condanna di Dreyfus. Un uomo cattivo, ha condotto e fatto tutto: è il luogotenente colonnello del Paty di Clam, allora semplice comandante. La verità sull’affare Dreyfus la saprà soltanto quando un’inchiesta legale avrà chiarito i suoi atti e le sue responsabilità. Appare come lo spirito più fumoso, più complicato, ricco di intrighi romantici compiacendosi al modo dei romanzi feuilletons, carte sparite, lettere anonime, appuntamenti in luoghi deserti, donne misteriose che accaparrano prove durante gli appuntamenti. È lui che immaginò di dettare l’elenco a Dreyfus, è lui che sognò di studiarlo in una parte rivestita di ghiaccio, è lui che il comandante Forzinetti ci rappresenta armato di una lanterna, volendo farsi introdurre vicino l’accusato addormentato, per proiettare sul suo viso un brusco raggio di luce e sorprendere così il suo crimine nel momento del risveglio. Ed io non ho da dire altro che se si cerca si troverà. Dichiaro semplicemente che il comandante del Paty di Clam incaricato di istruire la causa Dreyfus, come ufficiale giudiziario nel seguire l’ordine delle date e delle responsabilità, è il primo colpevole del terribile errore giudiziario che è stato commesso. L’elenco era già da tempo nelle mani del colonnello Sandherr direttore dell’ufficio delle informazioni, morto dopo di paralisi generale. Ebbero luogo delle fughe, carte sparivano come ne spariscono oggi e l’autore dell’elenco era ricercato quando a priori si decise poco a poco che l’autore non poteva essere che un ufficiale di stato maggiore e un ufficiale dell’artiglieria: doppio errore evidente che mostra con quale spirito superficiale si era studiato questo elenco, perché un esame ragionato dimostra che non poteva agire soltanto un ufficiale di truppa. Si cercava dunque nella casa, si esaminavano gli scritti come un affare di famiglia, un traditore da sorprendere dagli uffici stessi per espellerlo. E senza che voglia rifare qui una storia conosciuta solo in parte, entra in scena il comandante del Paty di Clam da quando il primo sospetto cade su Dreyfus. A partire da questo momento, è lui che ha inventato il caso Dreyfus, l’affare è diventato il suo affare, si fa forte nel confondere le tracce, di condurlo all’inevitabile completamento. C’è il ministro della guerra, il generale Mercier, la cui intelligenza sembra mediocre; c’è il capo dello stato maggiore, il generale de Boisdeffre che sembra aver ceduto alla sua passione clericale ed il sottocapo dello stato maggiore, il generale Gonse la cui coscienza si è adattata a molti. Ma in fondo non c’è che il comandante di Paty di Clam che li conduce tutti perché si occupa anche di spiritismo, di occultismo, conversa con gli spiriti. Non si potrebbero concepire le esperienze alle quali egli ha sottomesso l’infelice Dreyfus, le trappole nelle quali ha voluto farlo cadere, le indagini pazze, le enormi immaginazioni, tutta una torturante demenza. Ah! Questo primo affare è un incubo per chi lo conosce nei suoi veri dettagli! Il comandante del Paty di Clam, arresta Dreyfus e lo mette nella segreta. Corre dalla signora Dreyfus, la terrorizza dicendole che se parla il marito è perduto. Durante questo tempo, l’infelice si strappava la carne, gridava la sua innocenza. E la vicenda è stata progettata così come in una cronaca del XV secolo, in mezzo al mistero, con la complicazione di selvaggi espedienti, tutto ciò basato su una sola prova superficiale,questo elenco sciocco, che era soltanto una tresca volgare, che era anche più impudente delle frodi poiché i ”famosi segreti” consegnati erano tutti senza valore. Se insisto è perché il nodo è qui da dove usciva più tardi il vero crimine, il rifiuto spaventoso di giustizia di cui la Francia è malata. […]

Ma questa lettera è lunga, signor Presidente, ed è tempo di concludere.

[j’accuse ] Accuso il Tenente Colonnello du Paty de Clam di essere stato l’artefice diabolico dell’errore giudiziario – a sua insaputa, voglio credere – e di avere in seguito difeso la sua opera nefasta, da tre anni a questa parte, mediante le macchinazioni più assurde e colpevoli.

Accuso il Generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo.

Accuso il Generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di tale delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, per scopi politici e per salvare lo Stato maggiore compromesso.

Accuso il Generale de Boisdeffre ed il Generale Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto, l’uno certamente per passione clericale, l’altro forse per lo spirito di corpo che fa degli Uffici della guerra l’Arca santa, inattaccabile.

Accuso il Generale de Pellieux ed il Comandante Ravary di aver fatto un’inchiesta infame, intendendo con ciò un’inchiesta della parzialità più mostruosa, di cui abbiamo, nella relazione del secondo, un monumento imperituro di ingenua audacia.

Accuso i tre esperti di grafologia, i signori Belhomme, Varinard e Couard, di avere steso delle relazioni menzognere e fraudolente, a meno che un esame medico non li dichiari affetti da una malattia della vista e del giudizio.

Accuso gli Uffici della guerra di avere condotto nella stampa, particolarmente nell’Éclair e nell’Écho de Paris, una campagna abominevole per fuorviare l’opinione pubblica e coprire la loro colpa.

Accuso infine il primo Consiglio di Guerra di aver violato il diritto, condannando un accusato sulla base di un documento rimasto segreto, ed accuso il secondo Consiglio di Guerra di aver coperto tale illegalità dietro un ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di prosciogliere scientemente un colpevole.

Formulando queste accuse, non ignoro che sono soggetto agli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce i reati di diffamazione. Appunto per questo mi espongo.

Quanto alle persone che accuso, io non le conosco, non le ho mai viste, non provo verso di loro né rancore né odio. Esse non sono per me che delle entità, degli spiriti di malvagità sociale. E l’atto che qui compio non è che un modo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità, che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia ardente protesta non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque chiamarmi in Corte d’assise e che le indagini si svolgano alla luce del sole! Attendo.

Vogliate accettare, signor Presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto.»

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