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Gabriele D’Annunzio: tre poesie per ricordarlo nell’anniversario della sua nascita

Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio

Gabriele D’Annunzio: il “vivere inimitabile”

Gabriele D’Annunzio è stato un eccelso scrittore e poeta. Riconosciuto come il padre del Decadentismo italiano era soprannominato il Vate cioè “poeta profeta” e lo ricordiamo oggi sia per le sue opere letterarie sia per la sua vita politica. D’Annunzio era un esteta, alla ricerca dell’arte nella vita e alla costante celebrazione del bello intesa come perfezione – alla ricerca di quel “vivere inimitabile” come lui stesso disse. Oggi, per omaggiarlo della ricorrenza della sua nascita – 12 marzo 1863 -, lasciamo che siano le sue poesie a parlarci.

Gabriele D’Annunzio – Copertina del Notturno di De Carolis

Tre poesie di Gabriele D’Annunzio

I poeti

Il sogno d’un passato lontano, d’una ignota
stirpe, d’una remota
favola nei Poeti luce. Ai Poeti oscuro
è il sogno del futuro.
Qual contro l’aure avverse una chioma divina,
una fiamma divina,
tal ne la vita splende
l’Anima, si distende,
in dietro effusa pende.

Ospiti fummo (O tu che m’ami: ti sovviene?
Era ne le tue vene
il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria.
Nativa è la memoria
in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri
come tangibili astri,
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.

In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi? Quale
fu ne l’ora mortale
il nostro Dio? Da quale portentosa ferita
esalammo la vita?
Forse dopo una strage di eroi? Sotto il profondo
ciel d’un letto profondo?
Le nostre spoglie fiera
custodì la Chimera
ne la purpurea sera.

E al risveglio improvviso dal sonno secolare
noi vedemmo raggiare
un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti;
udimmo tutti i pianti
umani, tutti i pianti umani che la Terra
nel suo cerchio rinserra.
Udimmo tutti i vani
gemiti e gli urli insani
e le bestemmie immani.

Udimmo taciturni la querela confusa.
Ma ne l’anima chiusa
l’antichissimo sogno, che fluttuava ancòra,
ebbe una nuova aurora.
E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando
quella morte, cantando
dei misteri veduti,
degli amori goduti,
degli aromi bevuti.

Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro
è il sogno del futuro.
Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo,
o Fato, rivivremo?
Quando i Poeti al mondo canteranno su corde
d’oro l’inno concorde:
– O voi che il sangue opprime,
Uomini, su le cime
splende l’Alba sublime!

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti silvani,
piove su le nostre mani ignude,
su i nostri vestimenti leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude novella,
su la favola bella che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi noi siam nello spirto silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome Ermione.

Il vento scrive

Su la docile sabbia il vento scrive
con le penne dell’ala; e in sua favella
parlano i segni per le bianche rive.

Ma, quando il sol declina, d’ogni nota
ombra lene si crea, d’ogni ondicella,
quasi di ciglia su soave gota.

E par che nell’immenso arido viso
della pioggia s’immilli il tuo sorriso.

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