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Cosa c’è dietro le tele di Jackson Pollock? La bellissima intervista del 1951

Jackson Pollock in his studio in 1949, in a photograph by Martha Holmes

Il pittore statunitense Jackson Pollock (1912-1956) è stato uno dei più importanti esponenti dell’Action Painting o Espressionismo Astratto. Alla base delle sue opere troviamo uno stile gestuale basato sulla tecnica del dripping: il pennello viene sostituito da “sgocciolature” di colori (non colori ad olio ma vernici sintetiche). La tela viene distesa a terra e il colore viene fatto gocciolare (dall’inglese to drip: far cadere a gocce) da un contenitore bucherellato – o dalle mani tramite o tramite l’uso di pennelli e bastoni.
Jackson Pollock, Convergence, 1952, olio su tela, 237,5 x 393,7 cm, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery
“Io dipingo per terra ma non è una cosa anomala. Gli orientali lo facevano. Il colore che uso quasi sempre è liquido e molto fluido. Utilizzo i pennelli più come bastoni che come veri pennelli. Il pennello non tocca mai la superficie della tela, resta al di sopra” (J. Pollock 1951).
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Jackson Pollock. Energia resa visibile. Ediz. illustrata
  • Editore: Johan & Levi
  • Autore: B. H. Friedman , R. Rizzo
  • Collana: Biografie
  • Formato: Libro in brossura
  • Anno: 2015
Le opere di Jackson Pollock sono lo specchio di una società in movimento – dalla meditazione all’azione. É lo stesso Maestro che ci racconta la sua arte, le sue idee e il suo stile in una interessantissima intervista – che vi riportiamo qui sotto – rilasciata nel 1951 a William Wright per la stazione radio Sag Harbor.

L’intervista a Jackson Pollock fatta da William Wright

J.P.  Per me l’arte moderna non è altro che l’espressione degli ideali dell’epoca in cui viviamo…

J.P. Penso che nuove esigenze richiedano nuove tecniche. E gli artisti moderni hanno trovato nuovi modi e nuovi mezzi per affermare le loro idee. Mi sembra che un pittore moderno non possa esprimere la nostra epoca, l’aviazione, l’atomica, la radio, nelle forme del Rinascimento o di un’altra cultura passata. Ogni epoca ha la propria tecnica.

J.P. Si, di conseguenza. Intendo dire che non si avrà più un’impressione di estraneità e si scopriranno i significati più profondi dell’arte moderna.

J.P. Penso che non si debba cercare, ma guardare passivamente – cercare di ricevere quello che il quadro ha da offrire e non avere un soggetto o una aspettativa preconcetta.

J.P. L’inconscio è un elemento importante dell’arte moderna e penso che le pulsioni dell’inconscio abbiano grande significato per chi guarda un quadro.

J.P. Penso che si dovrebbe amarla come si ama la musica dopo un po’ piace o non piace. Che problema c’è? Amo certi fiori e altri no. Anche per la pittura deve essere così.

J.P. Certo, tutto questo può aiutare.

J.P. Mah, l’artista moderno vive in un’epoca meccanica e abbiamo mezzi meccanici per rappresentare gli oggetti della natura: il film, la foto. L’artista moderno, mi pare, lavora per esprimere l’energia, il movimento e altre forze interiori.

 J.P. Si l’artista moderno lavora con lo spazio e il tempo ed esprime i suoi sentimenti piuttosto che illustrarli…

J.P. A mio avviso, la tecnica si elabora naturalmente a partire da una necessità, e da questa necessità l’artista trae nuovi modi di esprimere il mondo che lo circonda. Io uso metodi diversi dalle tecniche pittoriche tradizionali. Oggi risulta strano, ma non penso che sia davvero diverso. Io dipingo per terra, ma non è una cosa anomala. Gli orientali lo facevano.

J.P. Il colore che uso quasi sempre è liquido e molto fluido. Utilizzo i pennelli più come bastoni che come veri pennelli. Il pennello non tocca la superficie della tela, resta al di sopra.

J.P. Mi permette di essere più libero, di avere maggior libertà di movimento intorno alla tela, di essere più a mio agio.

  J.P. No, non lo penso affatto. Io non… insomma con l’esperienza… mi sembra possibile controllare l’uscita del colore, in larga misura, e non utilizzo… non utilizzo il caso – perché nego il caso.

J.P. Credo proprio di si.

J.P. No, perché non si è ancora formata, vede. E’ qualcosa di nuovo. E’ molto diverso dal lavoro, diciamo, per una natura morta, in cui si dispongono gli oggetti e si parte direttamente da quelli. Ma ho un’idea generale di quello che voglio fare e di quello che sarà il risultato.

J.P. Si, affronto la pittura come si affronta il disegno; cioè direttamente. Non lavoro partendo da un disegno, non faccio schizzi o disegni o studi di colore preparatori; penso che oggi più la pittura è immediata e diretta, più numerose sono le possibilità di arrivare a esprimere la propria idea…

J.P. No, veramente no. Semplicemente sono più a mio agio in un grande spazio che non quando il formato non supera lo 0.60×0.60; sono più nel mio elemento.

J.P. Molto poco. Ci cammino sopra occasionalmente; ma in realtà, lavorando sui quattro lati, non mi serve molto entrare nella tela

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